Terry Pratchett a Bologna

Terry con cappello in posa classica

Guarda tutte le foto dell’incontro.

Grazie alle segnalazioni di Ilaria e .mau. oltre alla telefonata di Nicoletta ho potuto assistere al primo incontro di Terry Pratchett in Italia.

Update: .mau. ha raccontato l’incontro con Terry a Milano.

La saletta della biblioteca per ragazzi della Sala Borsa era gremita di fan di ogni età. L’occasione è la presentazione di Stelle Cadenti, traduzione italiana di Moving Pictures.

Monito agli assenti

Bloggers want you

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Ieri sera c’era la cena lunga. Molti c’erano, molti hanno dato forfait all’ultimo minuto.

Questo messaggio è rivolto a te. Avevamo voglia di rivederti. Ci è andata male.

Siamo in possesso del tuo badge. Finora non gli è stato torto un capello. Se vuoi rivederlo integro non puoi mancare al prossimo evento.

Gaspar, bloggers want you!

P.S.: Mafe & Vanz: vale lo stesso per voi ma il vostro badge è riuscito a scappare in tempo.

Una lunga cena colorata

Blurred lafra’s earring

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Avendo ammesso in un’altra occasione di saper raccontare meglio con le foto che con le parole (beh, almeno più velocemente), rompo gli indugi e pubblico il set delle foto della Cena Lunga di ieri sera a Milano.

Il locale era poco illuminato e molto colorato. Ho lasciato fare al sensore abbacinato da viraggi lisergici. Mano libera e mosso tollerato: Il flash incorporato è male.

Mancano i titoli, mancano le tag specifiche ma ci sono le foto inserite nel simpatico serpentone social.

Per il resto abbiate pazienza…

Titoli che non sopporto

Ci sono titoli che non sopporto.

Ci sono i titoli dei film americani tradotti come slogan di telefonini per il piccolo pubblico italiota.

Ci sono i titoli di studio. Il mio mi scordo di usarlo il più delle volte. Il dottorato del resto fa titolo solo quando va in onda uno speciale sulla ricerca.

C’è l’abuso dei titoli di studio. C’è chi ti chiama dott. tirando a caso per compiacerti. C’è invece chi si registra dott. sui siti web per seminare il dubbio (ché col cliente è sempre utile) millantando grazie ad uno sbaglio altrui. Millantato.

C’è chi infine ti tira un siluro via raccomandata piombata di scritte bold ma fa l’errore di chiamarti Egr. Sig.

Non ci siamo. Proprio non ci siamo.

Fincipit!

Fincipit!

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Finalmente è arrivato anche alla BolsoHouse il libro del Fincipit, grazie alla mia libraia preferita che è andata da un grossista Bolognese a cercare l’ultima copia rimasta.

Il libro risultava esaurito al lancio, tutte le copie sono state immesse sul mercato.

Ieri sera sono arrivati i rinforzi e ne sono comparse altre due sullo scaffale.

E’ commovente vedere questa creaturina della blogosfera con tutti i nomi dei partecipanti in coda camminare con le sue gambe.

Bravi eio e Stark, bravi tutti.

Enzo Biagi

E’ morto Enzo Biagi. Tra i Commenti a caldo quello più vicino alla percezione che ho di Biagi è quello di Michele Serra:

Il titolo del suo programma di maggiore impatto e di maggiore ascolto non per caso fu “Il fatto”, una sorta di rivendicazione asciutta della materia prima del giornalismo. Usava la televisione come un foglio di carta, ovviamente conoscendone la potenza centuplicata, ma ignorandone ostentatamente tutto l’armamentario di effetti, il linguaggio pletorico e/o aggressivo, la rumorosità e la lucentezza eccessiva.

(Via Repubblica.it.)

Mi viene in mente un toccante racconto, pescato dagli archivi RAI di qualche vecchio blob, del ritorno a Bologna dopo la fine della seconda guerra mondiale, vagando tra le macerie e ritrovando i volti degli amici sopravvissuti.

La costanza di un mezzofondista, scritti e libri su ogni epoca del novecento italiano. Un registratore dalle opinioni a volte prevedibili ma che non ha mai perso un colpo, con una sola eccezione.

Le parole sono importanti

Pago, pretendo:

non sarebbe ora di rimuovere quell’inutile e macchinoso “acca-ti-ti-pi-duepunti-barra-barra” dagli indirizzi dei siti web? O almeno sostituirlo con un’acca e basta, se siete di quelli che stanno già per obiettare che serve per eccetera?

(Via Wittgenstein via PhonkEio.)

Luca si lamenta, oltre che di cose sensate (la scomparsa dei codici regionali sui DVD) anche di cose insensate come l’abolizione del prefisso di protocollo http://.

Siamo di quelli che obiettiamo che serve per eccetera ma lo facciamo argomentando: Internet è fatta di protocolli, non di solo web. Da un web browser si possono attivare molte cose carine come ftp, telnet, news e molto altro (hai presente skype?). In un indirizzo web devi aggiungere con quale mezzo vuoi arrivarci: nave? dirigibile? aviogetto? Piccione viaggiatore? Telefono? Ecco, a quello serve l’indicazione del protocollo.

Non lo puoi omettere, non lo puoi abbreviare, perché il resto del mondo usa un’altra convenzione. Il browser tenda di azzeccarci se tu lo ometti ma non è un aiuto che si possa generalizzare a regola universale.

Sarebbe come tornare a togliere il prefisso telefonico per le chiamate urbane ora che lo abbiamo faticosamente inglobato nel numero causa groviglio di operatori fissi e mobili. Comodo se chiami in città, scomodo se devi spiegarlo a chi chiama da fuori. Io non ho nostalgia di zeroseiperchichiamadafuoriroma. E tu?

Discorso diverso per l’eliminazione del www. L’indicazione del www all’interno dell’indirizzo è un aiuto per gli umani, mentre il protocollo è una condizione indispensabile per i computer. Quando il web era appena nato ed era minoritario rispetto a gopher, ftp e telnet, era gentile spiegare che un certo indirizzo portava ad una pagina web. Oggi c’è chi è convinto che non sia più necessario.

Questo post aderisce alla prosa sbarazzina di Vanity Fair.

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