Una dashboard cittadina per Bologna

Scrivo qui per esteso la proposta che ho fatto all’incontro dei blogger con Virginio Merola. Nel resoconto c’è la versione stringata.

I programmi di Content Management System come WordPress ci hanno abituato al concetto di Dashboard: un “cruscotto” informativo in cui vengono raccolti i dati in tempo reale raccolti dalle principali funzioni di quel programma. Il concetto viene applicato anche in altri ambiti del software e del business.

In pratica è una rappresentazione in tempo reale dello stato di un sistema visto “a colpo d’occhio”.

Se una città come Bologna crede nella rete non può non dotarsi di una sua Dashboard con cui rappresentare, in primis, lo stato di traffico e parcheggi, per arrivare alla disponibilità dei posti prenotati negli ambulatori, negli ospedali, etc. etc.

Ma partiamo dal traffico: perché devo sapere da Google Maps sul mio iPhone quali strade sono colorate in rosso (intasate) e quali in verde (scorrevoli)? Non dovrei saperlo dalla home page di Iperbole?

Se si aggregassero i dati in tempo reale ad es. su:

  • Numero di macchine entrate in centro città
  • Numero di macchine ferme ai semafori con telecamera
  • Numero di permessi per residenti/operativi/handycap
  • Numero di parcheggi disponibili
  • Numero di parcheggi in costruzione

Si otterrebbero almeno due effetti:

1) Una funzione pratica: leggendo un cartello come quelli in autostrada “coda per il centro” oppure “numero macchine entrate superiore al numero di parcheggi” potrei convincermi a prendere l’autobus o la bici.

2) Educazione a lungo termine: a forza di leggere statistiche sulla mia città potrei rendermi conto se si sono fatti abbastanza parcheggi, se è il caso o meno di lamentarsi per i costi dei nuovi parcheggi o per la lentezza dei lavori di costruzione. Conoscendo il proprio contesto e il comportamento numerico (aggregato quindi anonimo) dei propri concittadini si realizzerebbe una politica attiva. Appoggio o meno una scelta o mi impegno per far sentire la mia voce perché ho una conoscenza oggettiva da cui partire. Maturata nel tempo quindi affidabile, cioè non figlia di un titolo sul giornale.

Il traffico è la forma più immediata di test sulla convivenza e la civiltà: il rispetto delle regole si ottiene più facilmente se si ha un vantaggio misurabile dall’applicazione delle regole stesse (se tutti stanno in fila senza superarsi a destra, per intenderci).

L’Amministrazione avrebbe il coraggio di esporre i proprio numeri, scontentando inevitabilmente qualche categoria?

La scomparsa dei suoni analogici

We’re losing the dial tone, too. Cellphones don’t have dial tones. Only landlines do, and those are rapidly disappearing. And without the dial tone, how will movie producers ever indicate that someone’s hung up on a character? (Even though that was an unrealistic depiction to begin with.)

(Via The Fading Sounds of Analog Technology – NYTimes.com.)

David Pogue ci elenca i suoni analogici di cui perderemo memoria per sempre come lacrime nella pioggia: il rumore di avanti veloce delle cassette, il suono dei registratori di cassa.

La scomparsa del suono di libero e occupato nei telefoni svuoterà di significato le scene dei film in cui viene interrotta bruscamente una conversazione telefonica.

Di colpo le telefonate di Berlusconi a Ballarò e l’Infedele sono diventate tragicamente out.

…E neanche Mac OS X Server si sente troppo bene

To go even further, but we are not there yet, it would be Mac OS X Server that could be discontinued. There will be a server version of Mac OS X Lion, but it might be the last Mac OS X server update.

(via Hardmac.com : Le “Macbidouille” in English – [Rumor] The discontinuation of the Xserve would be only the beginning via Nezmar)

Ieri gli XServe, oggi Steve, domani (sembra) tutta la linea professionale Apple.

Odio dire “l’avevo detto”.

Non ha prezzo

I can use Visa and Mastercard to pay for porn and support anti-abortion fanatics, Prop 8 homophobic bigots, and the Ku Klux Klan. But I can’t use them or PayPal to support Wikileaks, transparency, the First Amendment, and true government reform.

(via Just saying « BuzzMachine via Mante)

Il futuro cartaceo dei quotidiani online

A casa mia sono entrati 3-4 quotidiani da quando ho memoria ovvero da circa 40 anni.

I miei genitori ormai ottantenni continuano a comprare 2-3 quotidiani nonostante siano stati discretamente alfabetizzati su internet dal sottoscritto con iMac (da anni) e iPad (da qualche mese). Ci sentiamo addirittura via ichat e skype, nonostante ci separino soli 600 metri.

Eppure, le mie vittime i miei allievi informatici preferiti continuano a farsi tenere il supplemento tuttolibri dal giornalaio, a procurarsi il giornale di ieri che c’era un fondo tanto bello, a richiedere i DVD arretrati.

Io ho sempre avuto un’allergia per questo fiume di carta e soprattuto per il modo in cui è scritta (ma su questo vorrei tornare più avanti). Fatto sta che io seguo le notizie solo online e loro quasi solo su carta e naturalmente ce le segnaliamo a vicenda.

Ieri sera sosta veloce a riprendere i bimbi. Mia mamma dice che c’è un giallo sulle parole del Papa sui preservativi, un errore di traduzione. Io la fermo: c’è una bella analisi sulla notizia del Papa e preservativi sul Post. Prendo il suo iPad e le mostro la pagina web.

Segue domanda: cos’è il Post?

Rapida spiegazione sul quotidiano online di Luca Sofri, lo stile non urlato, l’analisi comparativa con la citazione di più fonti, la possibilità di farsi un’idea al volo su cosa dicono gli altri giornali e siti.

Un severo sguardo paterno accompagna la domanda finale: sì ma… queste “pagine”… si possono stampare?

Medito a lungo su Giornalismo e nuovi media, la crisi dei quoditiani, l’accumolo di carta poi rispondo, semplificando: tutte le pagine web si possono stampare…

Apple dice addio agli XServe

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You don’t think Apple is filling that North Carolina data center with Xserves, do you?

(Via Daring Fireball Linked List: James Gosling on Apple’s Java Discontinuation.)

Letta la notizia sulla morte degli Xserve Mi è tornato subito in mente questo commento di John Gruber a proposito della dismissione del supporto Java su Mac OS X.

Dopo averne decantato le lodi come supercomputer e come stazione per il rendering video di Final Cut Pro e per lo streaming QuickTime ora fa silenziosamente scomparire la tecnologia hardware e rende meno evidente Mac OS X server (secondo alcuni verrà incorporato in Mac OS X 10.7 Lion). Già ora non esiste più la pagina dedicata a QuickTime Streaming Server, ridotta ad un paragrafetto sulla pagina QuickTime and beyond cui si viene rediretti.

Al di là di cosa voglia vendere all’utenza, mi chiedo su quale infrastruttura tecnologica intenda costruire la futura “Apple on the cloud” che appare in evitabile per svincolare iPhone e iPad dall’attivazione di iTunes e dalla gestione centralizzata dei contenuti acquistati.

Gli attuali streaming video HTML5 degli Apple special events da che tipo di server vengono erogati? Con quali batterie di macchine vengono renderizzati i video? Non vorrete farci credere che avete rack di Mac Mini Server e di ingombranti MacPro migrati seguendo le istruzioni ufficiali?

Secondo me questo è il primo passo di un cambiamento profondo infrastrutturale.

Gruber, what did your little birdie told you this time? 🙂

Fotografare con le pinne

[…] l’unica cosa che davvero mi infastidisce della facilità con cui da un tot di anni a questa parte si possono scattare belle fotografie. Ovvero la perdita di contatto con cosa significhi davvero essere un fotografo, l’incapacità di distinguere un bello scatto da una — mi si scusi il termine — poetica che abbia un valore, il dilagare di riviste, siti e blog che pubblicano fotografi che sanno semplicemente scegliere una buona angolazione ed editare un jpg. Sono convinto che una foto non significhi nulla perché chiunque può fare belle foto — anche un piccione, per dire. Essere un fotografo significa invece essere in grado di raccontare o dire qualcosa, qualsiasi cosa. E quello sì, non sono in tanti a saperlo fare.

(Via Hipstamatic e un pensiero sul futuro della fotografia | Personal Report.)

Pier Mauro Tamburini mette il dito nella piaga del cambiamento socio-tecnologico portato dalla fotografia digitale e dai suoi automatismi correttivi sull’immagine.

La scuola di guerra dell’orizzonte storto sulle diapositive, del ritratto scuro controluce, della bruciatura solare lasciavano nei cassetti migliaia di immagini che ora trovano un loro perché espositivo.

Sono però convinto che come l’occhio prima si meraviglia poi si abitua alla nuova grafica di un videogioco, da qui a pochi anni faremo l’abitudine cerebrale ad una certa “poetica digitale” e distingueremo facilmente il colpo di fortuna assistito dall’occhio allenato del fotografo che fa tesoro dell’esperienza scremando scatti su scatti invece di puntare sulla fluttuazione statistica.

Si impara a nuotare senza pinne; se hai imparato con le pinne si vede, anche se vai più veloce.

Per il tuo business

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Non so se è l’Afghanistan ad incentivare il cattivo gusto delle pubblicità dei quotidiani online ma anche oggi la storia delle home page sfortunate si ripete.

Non so se sono peggio i 500 minuti in più per il tuo business o il discreto orecchino a forma di Tour Eiffel. In ogni caso anche stavolta i due maggiori quotidiani italiani mi hanno fatto un brutto effetto, contornando una notizia tragica con pubblicità troppo colorate.

Credo che sul concetto di home page, splash page, shutter e altre amenità bisognerà ancora lavorarci a lungo.

Linko a futura memoria le pagine interne di repubblica e corriere relative alle salme degli alpini.

Update: segnalazione analoga di Pazzo per Repubblica per le home page di venerdi 8 ottobre.

Addio, Versiontracker

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The team who brought you VersionTracker is part of the team that now brings you CNET Downloads; we are the same people who have been with you for years. We know how important the information on the VersionTracker website is, which is why we wanted to preserve it, enhance it, and make it part of the CNET experience.

(Via Versiontracker popup nella nuova home)

Versiontracker era il portale che annunciava ogni minimo cambiamento di ogni software Mac, piccolo o grande che fosse con tanto di valutazioni, commenti, e link alle versioni precedenti.

Era un mondo in cui eravamo in netta minoranza, i Panda sbeffeggiati dalla maggioranza Win-centrica.

Versiontracker era la dimostrazione che il software per Mac c’era ed era vivo e vegeto.

Versiontracker era l’home page di ogni recensore di shareware, freeware e software commerciale per Mac, prima di Google, prima di Macupdate, prima della pagina Downloads di Apple.com. Prima di App Store.

E ora, con un grande rutto (cit. Clarence), viene digerito nel mare magnum di CNET, che sempre in quell’epoca manco sapeva che gli file compattati Mac finivano in .sit (e neanche oggi, a dire il vero, molti se lo ricordano più). Una scarna VersionTracker FAQ ci racconta che fine fanno gli account Pro e il software a corredo di VT.

Addio VT, ti abbiamo voluto bene.

Mi stupisco di Finiiiii

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Nella mia ingenuità un po’ beota, in questi anni ho creduto che Fini prima o poi si rendesse autonomo da Berlusconi. Pensavo: ecco ora dice una cosa in contrasto con Berlusconi, Fini almeno il senso dello Stato ce lo dovrebbe avere. Ecco, ora dice che sul conflitto d’interessi o sulla legge antitrust Berlusconi ha torto. Non avevo capito niente. Non avevo capito che con cinismo all’ombra di Berlusconi Fini lo stava usando politicamente per avere dei pezzettini di potere. Fini l’ho sottovalutato politicamente anche perché l’avevo sopravvalutato moralmente. Ma valeva la pena dedicare tutta la vita alla politica, energie, tempo, sforzi per diventare democratico, strappi, discussioni, litigate, lacerazioni. Tutta la vita per poi diventare nemmeno l’unico ma uno dei tanti signorsì di Berlusconi.

(via Girotondi – Wikipedia)

Quel 14 settembre 2002 ero arrivato in treno a Roma dall’Apple Expo di Parigi e mi ricordo come se fosse ora la voce di Nanni Moretti che faceva vibrare la piazza del nome di Fini… “Finiiii, Mi stupisco di Finiiiiii”.

Ora non riesco a ritrovare la citazione ma sono quasi certo che AN rispose con qualcosa tipo “non accettiamo lezioni di democrazia da nessuno” (se puoi trovarla sarò ben lieto di correggere il post).

Sta di fatto che lo statista degli altri ci ha messo poco meno di otto anni per cogliere il velato suggerimento di quella piazza.

Bastava non trattenere il fiato nell’attesa.

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