Tre per sette ventuno

MILANO – – Il 93enne senatore a vita, Giulio Andreotti, è ricoverato in terapia intensiva al Policlinico Gemelli di Roma. Le sue condizioni «sono severe, ma stabili a seguito di una crisi cardiaca successiva a una infezione respiratoria» riferiscono i sanitari nel bollettino medico. Il sette volte presidente del Consiglio è arrivato alle 13.30 circa in codice rosso, disidratato e con frequenza cardiaca molto elevata. Ora è ricoverato in terapia intensiva presso il Dea. «Le condizioni sono severe, ma stabili. La prognosi è riservata» aggiungono i medici nella nota.

BRONCHITE – Una fonte medica ha aggiunto che il senatore è stato ricoverato per una bronchite di cui soffre da tempo. Secondo fonti sanitarie il sette volte presidente del Consiglio non sarebbe però stato intubato perché la situazione non sarebbe apparsa così grave ai medici da richiedere questo intervento.

IN AMBULANZA – Il sette volte presidente del Consiglio è stato prelevato dall’ambulanza dalla sua casa romana, in corso Vittorio Emanuele, intorno alle 13.26. L’ex presidente del Consiglio è stato visto con una mascherina dell’ossigeno da numerosi passanti.

(via Crisi cardiaca, Andreotti ricoverato – Corriere.it , enfasi mia.)

La notizia di oggi sul ricovero di Andreotti è per forza di cose scarsa di particolari: è stato ricoverato il senatore a vita Giulio Andreotti, 93 anni, per crisi respiratoria o cardiaca, «Le condizioni sono severe, ma stabili. La prognosi è riservata». Punto. Altro non si sa.

Nella concitazione di aggiungere paragrafi al pezzo la redazione online del Corriere.it ha continuato per tre volte a definire Giulio Andreotti il sette volte presidente del Consiglio, per un totale teorico di 21 mandati in tre paragrafi.

In questo banalissimo episodio giornalistico, del tutto marginale rispetto alla pagina di storia d’Italia rappresentata dalla vita di Andreotti, c’è tutta la deriva della lingua italiana: c’è il terrore per la ripetizione, il bisogno incontenibile di apposizioni e aggettivazioni, l’incapacità cronica di scrivere asciutto, l’illusione di dare più informazione condensando parole.

In un pezzo giornalistico di cronaca non scriviamo un brano di letteratura, nessuno cercherà né apprezzerà riccioli e modanature linguistiche, specie se brutti. Nessuno si annoierà se chiamiamo il protagonista dell’articolo con nome e cognome in più frasi ravvicinate. Nessuna prof delle medie sottolineerà in rosso “troppe ripetizioni”.

La sintesi non è giustapposizione di locuzioni, la sintesi è la scelta accurata di ciò che serve per dare l’informazione corretta. Sottrarre e non aggiungere. Less is more.

Il tempo di scrivere questo post e l’articolo è stato rivisto, la sottrazione è avvenuta e ora Andreotti è sette volte presidente del Consiglio e non più ventuno. Non starò qui a tirarmela sostenendo che al corriere hanno letto il mio twit su Andreotti ma la soddisfazione rimane. Bravi.

I dinosauri nei titoli sulla Leopolda

A questo punto cara Repubblica, caro Ezio Mauro, io da lettore ed elettore del PD credo di meritare qualcosa di più. Perché noi abbiamo in Italia un partito, direi il solo, in cui esiste oggi una dialettica, un confronto tra diverse “non-si-possono-chiamare-correnti”. Guarda caso è l’unico partito che ogni tanto cambia leader: gli altri senza il loro capo naturale sono quasi inimmaginabili (SEL senza Vendola? UDC senza Casini?), quasi tutti sono semplicemente comitati elettorali intorno a un personaggio televisivo di riferimento. Il PD invece è un partito. Possiede una dialettica interna, appassionata, a tratti violenta. Evviva. E voi scegliete di raccontarla, in prima pagina, come fosse un episodio della Pimpa. Bersani a Renzi: basta calci / lui replica: non sono un asino. È una notizia? Che Renzi non sia un asino, dico. Capirei Libero o il Giornale. Ma il lettore di Repubblica non si merita di più? Un sunto delle idee di Renzi, le divergenze col gruppo dirigente che contesta, qualcosa di sinistra, qualcosa anche di destra, qualcosa?

(via Leonardo: Ma i dinosauri, poi, chi è stato?)

Attacco fragoroso di un gran bel post di Leonardo sull’iniziativa di Matteo Renzi sul cui sito, peraltro, si trovano gran parte delle risposte agli interrogativi posti al titolista di Repubblica: nella lettera Idee concrete di persone normali (si veda il punto 2. Il Partito Democratico che vorrei) e la pagina A che serve la Leopolda.

Ci sono le cose interessanti, come l’uso dei social network (il valore di un’ora) e la demagogia nell’ostentazione dell’aggettivo “concreto” contrapposto in via sottinteso alle “chiacchiere” della politica.

Perché il dibattito della Leopolda non avviene sotto le insegne del PD e nelle sedi del PD? Visibilità:

La Leopolda deve servire anche a questo: usare la sovraesposizione mediatica della politica per dare visibilità ai protagonisti di un rinascimento possibile. Immettere nel dibattito nazionale i volti e soprattutto le idee di una nuova categoria di imprenditori, di studiosi, di uomini e di donne del volontariato e dell’associazionismo, di amministratori locali che hanno il potenziale per cambiare l’Italia.

(via Big Bang – Stazione Leopolda 2011)

Il post definitivo su Renzi lo ha fatto Elena:

Se il concetto è che ci sono sempre le stesse facce nel partito e nei luoghi di potere, lui sa molto bene, lo sanno bene tutti gli iscritti al PD, che esistono, in questo partito, tutti gli strumenti democratici per candidarsi ed essere scelti. Lo sa bene lui, che ha vinto le Primarie a poco più di 30 anni ed è diventato Sindaco di una delle città più importanti d’Italia, lo sanno bene gli altri che queste primarie magari le hanno perse, lo sanno anche quelli che alle primarie non si candidano perché temono di perderle.

Lo sa Renzi, che questa è una battaglia demagogica.

Il nostro non è un partito che ha lo stesso Presidente o Segretario da decenni, abbiamo fatto le primarie recentemente e c’erano gli spazi per candidarsi. E questo a tutti i livelli, fino al segretario di circolo. Non è un partito con un uomo solo al comando, c’è una grande ricchezza di opinioni e contributi (a volte anche troppi, tanto che a volte, per avere una posizione netta, bisognerebbe ripristinare il vecchio caro centralismo democratico). Un partito che cerca di rimanere in equilibrio tra chi chiede di parlare con una sola voce e avere una linea precisa e decisa, e chi chiede di ascoltare tutte le voci.

(via Brevi considerazioni sul perché penso che i rottamatori ci stiano raccontando una gran balla. | senza aggettivi)

Ciò detto, da inguaribile criticone, sono quasi più preoccupato della deriva asfittico-atrofica dei titoli di giornale che della dialettica interna alla sinistra. Se questa, almeno teoricamente, dovrebbe essere il motore delle idee della politica, i giornali dovrebbero rappresentare il veicolo o la strada su cui le idee si muovono. Se la loro comunicazione sarà sempre più rattrappita, semplificata, atomizzata, urlata non vedo come le idee possano mettere in moto quel gran numero di cervelli non ancora alfabetizzati alla ricerca delle fonti in rete strettamente dipendenti dal mainstream cartaceo.

Le idee sono fatte di parole e frasi, non di suoni gutturali. Parlare bene è importante, la lingua è importante: è una forma di pulizia mentale. Con titoli come questi è una specie in via di estinzione.

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