The boy who lived

Il rumore metallico delle chiavi che sbattono contro l’alluminio della cassetta delle lettere.
Una lettera del comune?
Certificato elettorale.
Di Cesare.
Un po’ in anticipo, ma tant’è.

18 anni.

E’ normale, arrivano per tutti.
No, non arrivano per tutti.
E, comunque, non per tutti allo stesso modo.

18 anni di montagne russe.
Di salite guadagnate aggrappandosi con le unghie e coi denti, di discese che non hanno lasciato nemmeno il tempo di prendere fiato, di cambi di direzione improvvisi che hanno spazzato ogni riferimento, di brusche frenate a polverizzare fino all’ultima delle ossa.
Di progetti frantumati uno dopo l’altro, fino al rinunciare proprio ad avere un piano.
Di notti più lunghe, che non sono state mai una sola. Di giorni più luminosi, che non sono stati mai uno solo.
Del dolore devastante di fronte all’ingenerosità del destino che ha strappato vite troppo giovani. Uno… Due… Tre… fino a non contare più, perché contare fa troppo male, ma restano lì come diamanti nel cuore.
Della gioia delle piccole cose che, se guardi bene, piccole non sono state mai.
Del farsi montagna, come mi ha insegnato la mia preziosa amica Francesca, che non per niente è una prof.
Dei compagni di viaggio, con cui non serve nemmeno parlare perché tanto sanno.
E degli altri, con cui non serve parlare perché tanto non sanno e non possono sapere.

Ma, anche se da una cardiopatia congenita non si guarisce mai, forse è giunto il momento di dircelo che iBaby è sopravvissuto.
Davvero.

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Consapevolezze

16 Gennaio 2021