Come lacrime nella pioggia

Non siamo un grande paese. E sappiamo di non esserlo. E queste due cose si mordono la coda.

[…]

Forse dovrebbe essere “non siamo mai stati un grande paese, ma cominciamo a esserlo”. Non ce la raccontiamo, ma proviamoci.

via Certe mattine piovose | Wittgenstein

E così capita, nell’arco delle poche ore di luce di questo 6 febbraio del cazzo, che una buona esortazione postata alle 9:48 del mattino si scontri con il peggior ricorso storico che la peggio italianità degli anni 2000 è stata in grado di produrre.

Alle 5 del pomeriggio la realtà aveva superato la fantasia.

Forse ce la possiamo fare, Luca, dopo aver smesso di fare i coltivatori di orticelli, i voltagabbana, gli ossequiapotenti, gli artisti dell’arrangiarsi, i procrastinatori, i pressapochisti, i tantocipensaluisti, i sorpassatori a destra, gli evasori fiscali, gli zozzi, gli ignoranti, i protervi, i menefreghisti, i lucidasuvladomenica, i distinguisti, i correntisti, i nonvoglioesprimereunaposizionisti, i profittatori, i tantoiodipoliticanonmiinteressisti, i passatori col rosso, gli apritori di dibattiti, i dimenticatori della propria storia, i revisionisti, i limatori di spigoli, i chiuditori di un occhio, i lei non sa chi sono io, gli ho amici molto in alto, i mediatori dell’immediabile, gli alzatori di spallucce, gli eternamente miopi, gli irrimediabilmente italiani.

Non siamo un paese di merda, hai ragione: siamo un paese in ammollo. In una cloaca. E ci proviamo pure gusto.

Update: un bel post riflessivo di Mante riprende il discorso del valore del borbottìo.

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