La politica della rete

Massimo Mantellini su Il Post getta molti semi di riflessione su come uno stato (e il suo Presidente) dovrebbe affrontare una politica per la rete

La politica delle reti non si fa nei convegni. Non si fa raccontando sui giornali i casi di eccellenza. Non si fa aggiungendo aggettivi agli articoli della Costituzione. Non si fa ripetendoci fra noi quanto il digitale sia sexy. Non si fa con le startup. Non si fa con le stampanti 3D. Non si fa su Twitter. La politica delle reti non è mobile first, al contrario andrebbe ancorata da qualche parte. Possibilmente dentro le nostre teste.

Il pezzo è da leggere per intero.

Aggiungo solo che se lasciamo la politica delle reti al marketing delle Telco, i cui spot ritraggono allegre combriccole di giovani che saltano e ballano sulle spiagge con i loro tablet guardando musica o calcio, avremo lo stesso effetto di promuovere la lettura tramite le pubblicità dei giornali: il grosso dell’utenza confluisce sulla Gazzetta dello Sport, letta al bar. Con l’unica differenza che sfogliare un giornale rosa non ti prosciuga il portafoglio come guardare filmati da una scheda a traffico limitato.

Anche Kermit reagisce (a modo suo)

Un nuovo video virale sta girando in questi mesi. In maniera piuttosto underground visto che i contenuti sono forse i più stomachevoli mai visti in rete (per ovvie ragioni non lo linko. Sappiate che gli ingredienti stanno agli estremi opposti della nostro apparato digerente. Se siete abili navigatori vi meritate di trovarlo da voi con le poche parole chiave necessarie).

Il video mira a titillare la curiosità del suo impreparato bersaglio, colpirlo con il suo contenuto e scatenare la voglia di vendetta proponendo il video ad altri.

E’ praticamente una forma primordiale ma evoluta di spam, che tuttavia ha l’unico merito di fabbricare da zero un caso di studio delle dinamiche della rete.

E difatti ecco nascere una sequenza infinita di video con le reazioni di chi guarda, compresa una famosa nonna finita pure sulle magliette.

Come un nuovo Goatse, da un lato rivela quanto possa essere ampio il ventaglio delle perversioni umane, che in rete, grazie all’accessibilità delle sole anteprime dei siti pornografici, acquista una nuova veste tassonomica (dalle zie ottantenni in guepière, agli uomini pelosi, ai fan dei pannoloni); dall’altro ci fa scoprire la capacità sempre attiva della Rete di fabbricare anticorpi, come i video delle reazioni che aiutano a riderci sopra ed esorcizzare la paura.

Sono sicuro che il primo giornalista che se ne accorge farà un articolo su youtube come covo di bullismo ed ora anche di perversioni. Vorrei con queste righe cominciare a generare i primi anticorpi.

E non ho mai visto quel video, solo il primo fotogramma. La trama me l’hanno raccontata. Sono salvo!

Lascia i tuoi dati e verrai richiamato

Più sintetico di Gaspar, Brodo stigmatizza lo stile poco 2.0 dei blog mainstream:

Lo dico qui perché per commentare dall’altra parte ci si deve registrare, bisogna mettere nome cognome luogo data di nascita codice fiscale misura delle mutande e mappa dei nei, e io sono pigro.

L’occasione è una conversazione su uno dei temi più antichi e ricorrenti nella blogosfera: la fuffizzazione dei contenuti.

La novità in questo caso è che non si tratta di una critica dall’esterno (mainstream, giornali) verso l’interno della blogosfera ma di una riflessione interna di un veterano come Brodo. E un blogger come lui conosce tutti i meccanismi social, codalunga, filtri, conversazioni, tagging, aggregazione etc. etc. che si suppone debbano aumentare la qualità dei contenuti.

L’accusa è invece rivolta ad essi: i contenuti della blogosfera stanno peggiorando. La causa: chiunque si sente in diritto di dire la sua anche su argomenti non di propria competenza.

Penso che ci sia del vero in questo (e, visto che va di moda fare i falsi modesti, potrei aggiungere questo blog ne è una prova) ma che non risieda nella blogosfera in sé ma nella italianità dei suoi componenti.

Se è pur vero che l’inizio di Blog Generation ritrae la rete come amplificazione delle chiacchiere da bar, è vero che si è sempre sottointesa una fiducia positivistica nella rete stessa e nei suoi partecipanti: chi scrive lo fa per partecipare all’intelligenza collettiva, per arricchire il sapere di tutti, per migliorare il social network, etc. etc. Manco tutti fossimo coscienziosi redattori di wikipedia o programmatori del kernel linux.

Errore: la rete non è una evoluzione elitaria della società ma sempre più una rappresentazione della società attuale.

Ci siamo dentro tutti: belli, brutti, dotati di idee o risuonanti a vuoto, arroganti e gentili, cazzoni e cazzari, presenzialisti e solitari, provocatori o ragionatori.

Più si abbassa il filtro all’accesso, da quello fisico della banda larga a quello della difficoltà d’uso degli strumenti, più ci ritroviamo un aggregatore degno di un centro commerciale il sabato pomeriggio.

Siamo Italiani: siamo sguaiati, caciaroni, diamo sulla voce, abbiamo la verità in tasca, siamo fatalisti, non abbiamo colpa di niente, non ci stupisce più niente, ci fidiamo di chiunque ci sappia abbindolare. Ma anche: riflettiamo, apriamo dibattiti, ci informiamo, meditiamo, non raggiungiamo mai una conclusione.

Siamo italiani e difficilmente sappiamo argomentare una discussione in maniera razionale, primato che ho sempre riconosciuto agli internauti anglosassoni. Dieci anni fa bastava confrontare i thread sui newsgroup della gerarchia it.comp.qualcosa con comp.sys.qualcosa. Oggi basta saltare da una tag di blog italiani nell’aggregatore ad una di blog stranieri.

Insofferenza alle regole, da quelle tipografiche (il quoting, il maiuscolo), a quelle logiche (perché dico una cosa, che argomenti ho a mio favore), a quelle diplomatiche (se non so come difendermi attacco la controparte) a quelle strategiche (non so come vincere una discussione, do’ addosso pur di non rinunciare).

La rete non è un filtro in entrata, è un’impastatrice di contenuti e comportamenti. Gli ingredienti che sta impastando ora sono questi. Di che ci stupiamo? Non sono troppo diversi dagli ingredienti che impasta la televisione, solo hanno combinazioni molto più numerose ed effetti nuovi.

Questi effetti sono migliori di qualsiasi impasto televisivo mainstream. Da questo punto di vista sono più fiducioso del mezzo in cui ci muoviamo. E allora sì che ridivento positivista: lasciamo decantare i blogger nostrani nel Grande Frullatore, sarà comunque meglio di Amici. Anche un lolcat è meglio, come dice Clay Shirky in questo video da vedere fino in fondo.

Update: sistemati un paio di link.

Lunghezze caratteristiche e comportamenti medi

Antonio scrive delle analisi caustiche interessanti ma che mi finiscono sempre nel tag “da leggere” di Google Reader perché sono troppo lunghe.

Sono convinto (anche autobacchettandomi) che i post debbano avere una loro lunghezza tipica. Qualcosa più degli atomi di tumblr e molto meno delle macromolecole dei trattati di suz (Suz, dovresti provare uno dei plugin che aggiungono il conteggio parole al titolo del post).

Non è una regola ma ci va molto vicino. Diciamo una best practice che nasce da come io leggo i blog: tanti, troppi feed aggregati che promuovono una lettura frettolosa e a salti. Non è una cosa buona in sé (infatti mi manca una lettura approfondita) solo un dato di fatto di un certo modo, credo condiviso, di essere blogger.

Sono anche convinto che ci siano dei tratti comuni tra le varie espressioni del web 2.0 ma che non siano propri dei mezzi scelti quanto piuttosto dell’uso sociale che ne viene fatto.

Non conta quanto buoni siano gli aperitivi del bar fighetto, conta quanti amici ci vanno. Se vanno nell’osteria laida finisce che ci vai anche tu e non ne potrai più fare a meno.

Less is more non è solo un dettame simil-zen, ma forse il frutto di una somma di comportamenti. Scegliere una piattaforma con meno feature, rinunciare ad una possibilità come quella di scrivere post lunghi, può essere una scelta forzata o anche solo “caldamente invitata” dalla comunità. Vi ricorda niente coltura microbica?

In fisica teorica gli integrali di cammino sono uno shock illuminante secondo solo alla scoperta della Meccanica Quantistica. Anche in meccanica classica la Lagrangiana può nascere come minimo del funzionale lineare ma alla fine è un “binario” ottenuto in maniera deterministica. Una misura di probabilità ottenuta sommando tutti gli stati possibili è invece una similitudine più adatta a quello che ci sta succedendo sulla rete.

Credo che ci tornerò più avanti, con maggiore dotazione di caffeina.

Quanto traffico nei blog?

The truth about traffic on the Internet:

I don’t want a big audience. I want a smart audience. So far I’ve gotten exactly that from TechMeme.

If I wanted a big audience I’d go write a Paris Hilton blog or something like that.

(Via Scobleizer – Microsoft Geek Blogger.)

Sembra che il dibattito sull’essere in cima alle classifiche senza per questo avere numericamente un alto traffico secondo le metriche 1.0 tocchi anche le blogstar d’oltreoceano.

La risposta di Scoble mi piace molto e spero che contribuisca a diffondere le idee rivoluzionarie di coda lunga, di percolamento delle informazioni nella rete sociale e di abbandono dell’idea di VIP/blogstar come accentratore di traffico.

Quello che conta è il fluire delle informazioni da un blog all’altro, magari passando da un tumblr o da un twit, da una casetta all’altra della rete.

L’altra sera mi sono trovato ad una cena privata per le ultime battute della primarie del nascente Partito Democratico. Pubblico di età media superiore alla mia, misto di amici ed élite locale, alfabetizzato al punto giusto da venire invitato via mail ma non di più. Non mi stupisco di non sentire pronunciare la parola Internet o Blog dall’oratore. Passate le domande di rito (come si vota, come avviene lo scorporo, etc.) si forma un capannello per proseguire la discussione.

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