His name is still on the door

Tim Cook ricorda Steve Jobs e il suo credere nell’innovazione, il semplice contrapposto al complesso, lo stare focalizzati, la lotta per la perfezione; tutti valori che sono ancora presenti nell’Apple di oggi:

Potresti mettere tutti i prodotti che Apple produce oggi su questo tavolo, ogni singolo prodotto. E i ricavi quest’anno ammonteranno probabilmente a 180 miliardi. Probabilmente non c’è nessun’altra azienda sulla Terra che potrebbe dire lo stesso.

 

Il mio vicino di casa, Steve Jobs

Not long after, I saw Steve as I was running in our neighborhood. He was deep in conversation with a younger version of himself — his very own mini-me in jeans, black tee-shirt, and wire-rimmed glasses. I must have looked like an idiot as I tripped over a crack in the pavement trying to give them wide berth.

It was at Halloween not long after when I realized he actually knew my name (yes, my name!). He and his wife put on a darn scary haunted house (to be specific, a haunted garden). He was sitting on the walkway, dressed like Frankenstein. As I walked by with my son, Steve smiled and said, “Hi Lisen.” My son thought I was the coolest mom in town when he realized The Steve Jobs knew me.

Thanks for the coolness points, Steve.

From then on, when I saw him holding his executive meetings in our neighborhood, I didn’t hesitate to smile and say hi. Steve always returned the favor, proving he may be a genius, but he is also a good neighbor.

(Via My Neighbor, Steve Jobs | Lisen’s “Blog” – An Angle of PrismWork.)

Questo post di Lisen Stromberg è del 29 agosto. Avrei voluto ribloggarlo ma continuavo a pensare che mi sembrava troppo agiografico e scontato.

Da ieri le cose sono diverse. Leggetelo tutto. E’ un racconto fatto di istantanee, come questa:

While Newsweek and the Wall Street Journal and CNET continue to drone on about the impact of the Steve Jobs era, I won’t be pondering the MacBook Air I write on or the iPhone I talk on. I will think of the day I saw him at his son’s high school graduation. There Steve stood, tears streaming down his cheeks, his smile wide and proud, as his son received his diploma and walked on into his own bright future leaving behind a good man and a good father who can be sure of the rightness of this, perhaps his most important legacy of all.

L’ultimo keynote

Poche ore fa ho finito di vedere sull’Apple TV il video dell’evento di presentazione dell’iPhone 4S come ho fatto per tutti i keynote precedenti.

Volevo cercare di capire come Tim Cook volesse presentare Apple dopo le dimissioni di Steve Jobs cogliendo anche il minimo dettaglio tra sguardi e parole.

Il keynote aveva un tono surreale: l’entusiasmo d’ordinanza lasciava trasparire volti tirati, le frasi a lungo provate che dovevano comunicare l’ultima meraviglia tecnologica sembravano limitarsi a “fare il proprio dovere” per l’holyday season, sciorinando feature su feature come se leggessero l’elenco del telefono.

Phil Schiller, di solito buontempone e brillante, era tetro e privo di vera enfasi. Scott Forestall aveva spento il suo consueto sguardo allucinato e dava ordini vocali a Siri con malcelata mestizia, quasi ignorando il pezzo di fantascienza realizzata che aveva in mano.

Un’ombra pervade quel filmato, quella di Steve Jobs, cui mai un accenno, mai un saluto viene rivolto. Solo un rispettoso silenzio e qualche somiglianza nei gesti di Tim Cook. La sua voce grave ma ferma prende le redini di Apple trasmettendo la consapevolezza di un dolore che non si può più evitare.

Erano le 1:40 di questa notte. Alle 5:20 Daria mi chiama e mi dice della scomparsa di Steve Jobs. Io rispondo “me lo sentivo dentro”.

Grazie, Steve.

steve.png

Cosa sappiamo della salute di Steve Jobs

Oggi sia la Repubblica che il Corriere sbattono la profezia di morte di Steve Jobs in prima pagina citando la “Stampa USA”.

L’autorevole fonte è il National Inquirer, che, cercato su Google si rivela con: Celebrity news, gossip, photos at NationalEnquirer.com (i contenuti non sono disponibili agli IP italiani).

Tutto quello su cui si fonda la notizia sono due foto di Jobs smagrito e una diagnosi a distanza di due medici americani. Tra gli articoli reperibili su Techmeme è istruttivo leggere il pezzo di Gizmodo che riporta anche parte delle foto:

The Enquirer followed him from breakfast to the Stanford Cancer Center. It says he has weeks to live, based on analysis of the photos by Dr. Gabe Mirkin and Dr. Samuel Jacobson. Neither are oncologists or have seen Steve in person. Mirkin, a radio talk show host, claims he has a “20-year track record of spotting breakthroughs and recommending effective treatments long before they become standard medical care” and makes his assessment of Steve based on the appearance of Steve’s butt in the photos. Yes, this doctor is making a butt-diagnosis, remotely.

Ovvero: un medico che ha 20 anni di esperienza in diagnosi precoci sta basando la sua diagnosi remota sull’osservazione delle chiappe di Jobs.

E poi, un pizzico di giornalismo: nessuno ha visto i dati medici reali di Jobs e gli esempi delle affermazioni sbagliate dell’Enquirer:

No one knows why he was there—no one has seen the medical records. The Enquirer is also wrong a lot—especially when it comes to proclaiming that celebrities have mere weeks to live. […]

And just a couple weeks ago, Steve was supposedly spotted on Apple campus looking spry with a “full, genuine smile.”

Il cancro al pancreas, anzi LE forme di cancro al pancreas sono tante e i decorsi difficili da prevedere. Qualcuno ha visto la sua cartella clinica? Repubblica? Corriere? Avete chiesto ad un medico italiano di confermare le sei settimane di vita di Jobs sulla base dello stato delle sue chiappe?

Se sì me lo fate sapere nei commenti, grazie.

Update: lo ha detto meglio di me Sasaki Fujika.

Diamo un blog a Steve

Let’s give Steve a blog

Chuq ci racconta, senza fare cognomi ma solo un nome, di quella volta che ad una riunione con i soliti sospetti (PR, Marketing, Legal) intenti a creare nuovi canali di comunicazione tra Apple e il pubblico tirò fuori l’idea di un blog che sarebbe stato il blog più letto del pianeta.

La paura del capo fece tornare l’idea nel cassetto, il messaggio adobi et orbi l’ha fatta tornare fuori, almeno come proof of concept.

1998-2008: 10 anni di keynote

Manca poco più di un’ora al keynote di Steve Jobs con le novità Apple per il 2008. La solita tempesta di ipotesi si impenna fino all’ultimo. Tutti aspettano un subnotebook, un qualche oggetto fantascientifico, lo sbarco su Marte.

Guardando l’ultima cifra dell’anno in corso mi rendo conto che sono ormai 10 orbite terrestri da quando ho iniziato a seguire i Keynote di Steve. Crescente eccitazione prima e durante, discussioni peggio dei processi calcistici subito dopo. Ognuno a proiettare su Apple le aspettative più improbabili. I commentatori e Apple stessa a convincerti che erano prioritari passi fondamentali, milestones, come il consolidamento di standard industriali: USB al posto di ADB, QuickTime versione 3 (era il 1998, appunto), fino a Mac OS X in tutte le sue incarnazioni.

Ora Apple è pienamente risanata, carica di liquidi e capitali per produrre innovazione a più non posso. E’ addirittura quasi monopolista nel mercato della musica e dell’entertainment, fa scelte meno “affascinanti” e più strategiche. Ha masse di nuovi fan dall’atteggiamento meno da adepto e più da fan dalla delusione facile.

Strano panorama, vorrei tornarci con più calma.

Eppure il Keynote è un momento importante, il momento più alto della comunicazione Apple, come spiega molto chiaramente Antonio nel suo libro Emozione Apple, da cui si capisce ben più dei dettagli tecnici e markettari di cui si riempirà il sito ufficiale a keynote concluso. Dove Steve mette l’accento, anche se non ti spiega tutte le feature dei nuovi prodotti, quello è il baricentro della nuova strategia, il fulcro dell’innovazione. Che piaccia o meno, che lo compriate o meno.

Non vedo l’ora di commentare il filmato in differita con gli amici stasera. Alle 18 ho un appuntamento importante, niente diretta.

Buon live coverage, ragazzi. Vi invidio.

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