Apollo 11: uno splendido cinquantenne

Oggi ricorrono i 50 anni dell’allunaggio, un momento storico che ha segnato tutti quelli della mia generazione e ha popolato l’immaginario dei viaggi spaziali con tute bianche, caschi sferici e zaino enorme.

La rete brulica di letture commemorative. Io, da bravo bolso, mi limito a segnalare lo specialone del Post e il racconto dell’89enne Michael Collins nel Google Doodle celebrativo.

Quello che significa per me l’allunaggio l’ho scritto nel post di 10 anni fa per il quarantennale dello sbarco sulla luna.

(Toh, una volta si scriveva sui blog).

Mi soffermo invece su questo video di cui consiglio la visione integrale in cuffia cercando di seguire l’audio inglese. È la ricostruzione integrale dell’allunaggio visto dall’interno della cabina del LEM usando l’audio degli astronauti, del controllo volo a Houston e i dati della strumentazione (altitudine, inclinazione, programmi del computer in uso).

Emozionante.

Dissetarsi

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Strano come i ricordi si fissino sugli oggetti più impensati.

Ché certi aspetti banali del fine vita rimangono più impressi dei monitor e delle flebo.

Le bottigliette d’acqua col beccuccio, quelle lunghe e strette, incavate al centro, sono state le ultime con cui riusciva a bere.

Il biberon di un moribondo. Un neonato alla meno uno che succhia a fatica.

Poi si è dovuti passare all’acqua solida in gel, una (non) bevanda irreale per non soffocare quando ti abbandona anche il riflesso della deglutizione.

È servita solo per pochi giorni.

Un anno dopo succede che quelle bottigliette finiscono tra le cibarie di una bellissima escursione sull’Appennino.

E non è colpa di nessuno se il ricordo riaffiora silenzioso come un soldato dei corpi speciali che strisciando ti prende alla gola.

E stringe.

Gli effetti collaterali di un’ottima memoria visiva.

Splendidi vent’anni

Gran bel post di Dania, da gustarsi lentamente come il vino buono.

Passavamo ore al caffè in campo dei Frari, tra una lezione e l’altra, a emozionarci per quelle parole che sembravano fatte per noi, dette da noi, scritte proprio come se nella penna ci fossero stati i miei capelli neri neri e i suoi occhi grigi.

(Via malafemmena » Le parole tue.)

Senza occhi e senza denti



Senza occhi e senza denti

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Guardalo mo’ li’ che quando venne fuori non c’erano gli occhi, non c’erano i denti, non c’era più niente. Guardalo: è lassù. Medaglia d’oro.

Bologna, 25 aprile 2010 via Twitter

Su flickr trovate tutto il mio fotoracconto.

Con l’Apollo 11 negli occhi

Con l'Apollo 11 negli occhi

Credo sia la prima volta che mi trovo ad aggiornare un post di 6 anni fa, del luglio 2003.

Ho deciso infatti di pubblicare la foto che ritrae il sottoscritto mentre l’Apollo 11 lasciava il suo imprinting nella mia memoria di bambino.

Se i forse dettagli di quelle immagini non possono materialmente essere trattenuti dalla mente di un bambino di 10 mesi, la sensazione di avventura, di balzo in avanti, l’idea dell’ultima grande esplorazione umana hanno permeato l’esistenza di chi è cresciuto in quegli anni.

Le tute bianche coi tubi, i grossi caschi sferici a specchio, gli zaini bianchi, i balzi sulla luna, il metallo delle strutture, i piccoli razzi direzionali, quella specie di carta stagnola a protezione delle radiazioni, il razzo bianco e nero. Sono elementi che hanno definito la tecnologia e l’immaginario fantascientifico di quegli anni. Si era diffusa l’idea che ci sarebbe stata un’evoluzione rapida e la luna sarebbe stata una meta facile ma non fu così.

La tecnologia era troppo costosa e pericolosa per poter continuare, come ha raccontato Umberto Guidoni nella bellissima trasmissione Dalla Terra alla Luna e nel dibattito che c’è stato a Radioincontri.

E’ stata veramente una grande avventura, difficile ad immaginarsi oggi, quando i collegamenti via satellite sono la normalità e una diretta televisiva strappa qualche sbadiglio. Non si conoscevano i colori della luna, non si era mai vista la terra da un veicolo in orbita. Le astronavi stavano su con lo sputo e i motori si facevano ripartire piantando una penna nel buco dell’interruttore rotto (penna che Buzz Aldrin conserva ancora). Provate a farlo con l’iPhone.

E’ stato un viaggio fatto in nome di tutta l’umanità, almeno a parole ma anche quelle contano in certe occasioni.

Guardatevi le immagini di The Big Picture (le lacrime negli occhi di Armstrong dopo la passeggiata lunare da sole dicono tutto) leggetevi tutto il post gigante sull’Apollo 11 di Kottke per avere ogni informazione possibile in forma enciclopedica e non dimenticate le pagine NASA del quarantennale dell’Apollo.

Grazie, Apollo.

(e grazie a chi mi ha tenuto sveglio. 🙂 )

La pacifica rivoluzione di Nino Loperfido

Scarica l’invito in pdf

Essere un uomo. Questo mi interessa. A meno di dieci mesi dalla sua scomparsa, la pacifica rivoluzione di Nino Loperfido, neuropsichiatra  infantile e assessore alla sanità con la giunta Zangheri tra il 1970 e il 1980, viene raccontata in un documentario a cura di Giuliano Loperfido e Lorenzo Massa. Appuntamento lunedì 19 gennaio a Bologna, presso il cinema Lumiere.

Tre le proiezioni previste in tre orari differenti (18; 19.30; 21) presso la Sala Officinema/Mastroianni del cinema in via Azzo Gardino 65 a Bologna. Alla proiezione delle ore 18 saranno presenti i due autori insieme ad Alberto Alberani, responsabile di Legacoop Sociali Emilia-Romagna. L’ingresso è libero.

via legacoop.bologna.it

Oggi siamo particolarmente malandati, se riusciamo a raccogliere le forze e a tener buoni i bimbi saremo al fianco di Giacomo e Giuliano nel ricordare il loro padre, una persona fuori del comune e un amico grandissimo.

Claz

Ciao Claz!.

Ciao Claz!

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Quando Aaron dall’America mi ha segnalato il ricordo di Settimio, non ci volevo credere, con gli occhi spalancati sul monitor, stentando a riconoscere la foto che io stesso gli avevo fatto.

Ho dovuto leggere il pezzo di Roberto per rendermene conto. Per dire addio a Claudio Zamagni.

E’ difficile spiegare quanto forte possa essere un’amicizia nata per via telematica quando ci si sta abituando a cliccare su “aggiungi un amico”.

Nel 1995 si era usi ascoltare il rumore del modem che oggi sopravvive in qualche fax, sopportarne la lentezza, le cadute di linea, per approdare alla magia di First Class e delle persone che animavano quelle BBS.

Alla base di quella magia le uniche feature erano la capacità di scrivere e la condivisione di una passione comune. Le persone facevano il resto, la loro simpatia, ironia, e quant’altro ci può essere di speciale dentro ognuno.

ClaZ con il suo occhio scintillante, il cacciavite pronto, la conoscenza di ogni circuito integrato e scheda madre di questa terra era una persona speciale. Molto speciale.

Te ne accorgevi dai primi messaggi, siano stati un consiglio su cartucce ZIP vs. EZ, su un overclock, sulla condivisione di dati shareware o sull’organizzare le prime pizzate di BBS a Torino.

E nel suo primo laboratorio casalingo ci incontrammo, io sperduto studente di dottorato in una città nuova, lui come se mi avesse sempre conosciuto a bullarsi dei processori Intel, che non si potevano overcloccare perché avevano l’acqua alla gola mentre i PowerPC se ne stavano bel belli in poltrona. E intanto con un “posso?” apriva il mio nuovissimo PowerBook 165c, regalo di laurea, beandosi di dettagli costruttivi dei tempi d’oro di Apple per me del tutto sconosciuti.

Con una scena simile, estraendo un Duo dalla sua Dock conquistò un altro Claudio portandolo via al mondo Windows. E l’episodio, più volte raccontato in BBS cementò l’amicizia di tutti e tre.

Alla stessa maniera si formavano legami con Bologna, Imola, Cagliari. Era un’epoca di ritrovi di BBS, non c’era skype, non c’era Internet nelle case, en passant. E Claudio si sparava tratte di autostrade per venirci a trovare, insieme alla moglie Maria che ha sempre amorevolmente sopportato noi mattacchioni. Ho cercato le foto della pizzata del 1996 ma non le ho trovate in tempo, aggiornerò il post appena possibile.

L’ultima volta che l’abbiamo incontrato, con Daria è stato a Bologna al bar degli elfi qualche anno fa. Una momento affettuoso come se gli anni non fossero mai passati.

Poi è arrivata Internet, le mailing-list, il POC, i vari MacDay, le battaglie ad Unreal di cui ho sempre sentito raccontare e ClaZ ha lasciato un segno nel cuore di tanti utenti Mac e non.

Avremmo voluto essere anche noi a salutare ClaZ, tra poche ore a Torino. Ad abbracciare Maria e Giovanna. Ma siamo qui, a raccontare quanto Claudio sia ancora qui e continuerà ad esserci.

Ciao, Claz!

I Malavoglia e i Lupini

L’altra cosa notevole, culturalmente, è che su uno dei caposaldi tradizionali della nostra cultura scolastica e della nostra tradizione letteraria, tutti (compreso il corpo insegnante nella sua totalità, stando a una mia indagine sommaria) siamo sempre stati solidamente convinti di una cosa che invece è – come detto – quantomeno misteriosa e controversa, oppure non abbiamo mai capito di cosa si parlasse. Insegnanti avvisati, ma non so se con la Gelmini si facciano ancora i Malavoglia

Wittgenstein – I lupini che non colsi

Ricordo tutto il primo anno di liceo dedicato ai Malavoglia, sacrificando il mostro sacro dell’Eneide, così da avvantaggiarsi sul programma di quinta. Da mostro sacro ottenemmo un incubo sacro. Note, riassunti, schede dei personaggi di una realtà antica siciliana che per un quattordicenne del 1982 aveva meno interesse di un telefono in bachelite nera per un iPhone maniaco di oggi.

Edizione con copertina verde già introvabile allora, da studiarsi più sui due terzi della pagina dedicata alle fitte note di Pietro Nardi che al testo. Il Nostro si occupò anche di eliminare uno scandaloso paragrafo in cui veniva citato un episodio a base di un cesto di corna deposto ai piedi della porta di casa. Roba da turbare le nostre giovani menti che avrebbero dovuto avvalersi dell’edizione Oscar Mondadori diffusa come le patatine.

Neanche a dirlo, a nessuno di noi venne mai in mente di chiedere dei lupini.

Buchi neri

Fare il fisico è stata una bella esperienza, come quelle gite scolastiche con tanto di luna piena, falo’ e qualche speranza che la più bella della classe ti degni di uno sguardo.

Poi però il pullman ti porta a casa e nei sedili in fondo se la spupazza qualcun altro.

I buchi neri, dicevamo, roba che quando non eravate neanche nati, sul finire degli anni ’70 riempiva i paginoni della sezione scienza di Panorama, con tanto di figura del malcapitato attraversatore del Buco che finiva stiracchiato in chissà quale parte dell’Universo.

E così ti frullano in testa degli strani mischioni tra frasi fatte giornalistiche, ingredienti di fantascienza, due cucchiai di immaginazione e la frittata è fatta. Non ti ferma neanche Piero Angela che all’epoca, nella trasmissione Quark senza il Super davanti, si fermava pazientemente a spiegarti cosa erano ‘sti benedetti Quark (scoperti e ipotizzati relativamente da pochi anni), i loro amici Buchi Neri precisando che tutto quello che si sapeva di questi strani soggetti era una manciata di numeri e formule. Nessuno li aveva mai visti né si poteva sognare di vederli, nell’accezione comune del termine.

Com’è, come non è, a 19 anni finisci per iscriverti a fisica, ti fai un discreto mazzo tra esami di matematica, forma mentis tutta da forgiare e residui pensieri fantascientifici da purgare finché al terzo anno ti imbatti nell’Unico Complementare Teorico che puoi scegliere (nel 1990 funzionava ancora così). Relatività, mi pare ovvio (il genio di Einstein, lo spazio, la gravità, se eri femmina un prof. giovane dagli occhioni blu). Vuoi che un fisico non sappia nulla dello spazio tempo e dei buchi neri?

Superi pagine e pagine di formule sul quadernone, digerisci la notazione quadridimensionale con somma implicita sugli indici (sono ancora indeciso se pronunciarli mi e ni oppure mu e nu), fai fare alla tua immaginazione sforzi ben più contorti di quelli delle pagine divulgative dei giornali e approdi, dopo tre cambi di variabile in coordinate polari al tuo primo buco nero, una pagina e mezzo di quadernone dedicata alla Metrica di Kerr.

Da una serie di considerazioni che devi cercare di riportare su una sola dimensione spaziale e una temporale (dimenticando gli angoli che sarebbe troppo complicato capire), intuisci che la X e la T si invertono di ruolo oltre l’orizzonte degli eventi, oltrepassato il quale la X va solo avanti, ovvero gli oggetti cadono irreversibilmente nel buco nero e non tornano indietro. Alcune clausole che, se fossero un EULA di oggi, sarebbero scritte in piccolo in fondo alla schermata, dicono pero’ che ci vuole tempo infinito a raggiungere l’orizzonte degli eventi, che il modello vale per un buco nero sferico o puntiforme e che dall’altra parte forse c’è un buco bianco ma che tutti i punti della superficie che congiunge i due buchi (un wormhole) è di tipo space-like, ovvero: impossibile da raggiungere, sarebbe come andare indietro nel tempo. Non si attraversano i buchi neri, niente da fare, no viaggi intergalattici, niente stiracchiamenti, nada.

In altre parole: la realtà è molto più complicata, la metrica di un caso realistico la sanno solo i miei colleghi che ci si sono laureati e specializzati, chi ha tentato di metterci anche la meccanica quantistica non c’è ancora riuscito e chi ci ha provato mi ha mostrato formule ben più lunghe della mia: l’ultima che ricordo in teoria delle stringhe era lunga vari fogli A4 uniti con lo scotch. Solo la formula, mica la soluzione, eh?

Dietro la fisica teorica, come dietro quella sperimentale c’è un’estrema specializzazione, pagine e pagine di articoli, ore e ore (settimane e settimane) di tempo di calcolo su computer a molti processori, passione, sudore, colpi di culo e quant’altro possiate immaginare di più lontano dai titoli semplificatori dei giornali di oggi.

Dieci alla meno diciannove? Avete idea di che numero sia? Se fosse di una qualche importanza mi fionderei in tabaccheria a sparare 6 numeri a caso e diventare miliardario in tre tentativi.

Non faccio più il fisico da anni, al CERN ci sono andato in gita in pullman, il secondo anno, so un cazzo di cosa fanno in Svizzera, ma mi fido di loro. E’ come se, per oscure ragioni diventata mainstream, Internet fosse vista come una minaccia stile Matrix, foriera della fine del mondo, come se Novella duemila facesse i titoli sui pericoli dei pacchetti TCP/IP. Anche il meno tecnico di noi blogger starebbe ridendo ininterrottamente da settimane.

Forse è stato tutto veramente una gita scolastica.

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