Non c’è input senza output

Sono diversi giorni che sentivo l’esigenza di tornare a scrivere quando poco fa mi imbatto su un invito a scrivere apparso su friendfeed (no link: c’è il lucchetto). Corro ad approfittarne.

L’esigenza mi è nata dalla lettura di una grande quantità di cose interessanti e dalla percezione di non riuscire a trovare il tempo per formulare qualsiasi pensiero da esse derivanti. Una sorta di blocco digestivo ma non solo.

Leggere i post degli altri senza scrivere è come mangiare senza correre, ascoltare musica senza suonare ma anche capire veramente quello che si è letto senza dargli una forma

We often don’t know what we think until we write it down

(Euan Semple, The Written Word)

Il fiume di informazioni, grandi e piccole, strutturate o amorfe, pensieri o trattati, battute o cose serissime, che ci passa davanti se non viene incanalato e poi decantato nella nostra mente finisce per stordirci. E il nostro cervello si atrofizza, le azioni si sciolgono nel pigro clic su like.

E il pensiero va agli abitanti della Axiom.

E’ ora di ricominciare. Grazie, Bat.

Sfogo suicida

Su un blog ci si sfoga sul suicidio e su FriendFeed ci si sfoga sullo sfogo chiedendo a gran voce di leggere tutti i commenti pena la non completa comprensione dello sfogo stesso.

La differenza tra un blog e un forum sta nel post di avvio, nella dicotomia fra il thread di commenti equipotente di un forum e l’asimmetria post-commenti di un blog.

Se c’è qualcosa di rilevante nato dai commenti lo si integra in un aggiornamento del post, come in questo caso.

Difficilmente seguo lunghi thread di commenti (è un mio limite fisico), l’atomo di informazione importante sta nel post, tendenzialmente la pensa così anche Google quando ti ci conduce sopra con una frase di ricerca.

Il suicidio è un mistero della psiche umana, la cui soluzione sta solo nella testa del suicida stesso, persa per sempre peggio di una formattazione a basso livello.

Non è un argomento proibito, certo parlarne non è facile, specie se si hanno idee non dissimili da quelle esposte nel blog. Bisogna saperne parlare, è una questione di stile.

Sta di fatto, cara Rossella, che chi scrive ha avuto più di un suicidio in famiglia.

Non che questo faccia di me un esperto però, come dicevo, qualche pensiero su rabbia, motivazioni, spiegazioni l’ho fatto anch’io a suo tempo. Non troppo diversi dai tuoi.

Comunque ho letto il post, l’ho riletto, l’ho reinterpretato come da indicazioni della chiosa finale. Ho scorso velocemente le due file di commenti.

Io non credo che sfogo sia l’equivalente di un lasciapassare universale delle idee, di esenzione del filtro intellettuale che ti fa scegliere momento, luogo e modi di scrivere in pubblico.

Perché il cosa diciamo può accomunarci molto ma il come lo diciamo fa la vera differenza e spesso è rivelazione di cosa abbiamo dentro, di cosa siamo veramente.

Se un giorno, guardando la mia dashboard, mi dovessi trovare a decidere se difendere uno sfogo scappatomi per la rabbia, credo che solo un bel clic sul bottone delete mi permetterebbe di guardarmi ancora allo specchio.

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