Quattro amici al bar

Sono contrario al matrimonio e basta: che sia etero o gay. Sono contrario, cioè, all’assurdità per cui in Italia debba esistere un solo tipo di contratto matrimoniale – perché un matrimonio è anzitutto un contratto – quando al mondo non esiste solo l’unione di due persone con l’obiettivo della progenitura: esiste un mercato di affetti e relazioni che avrebbe bisogno di un ombrello giuridico per uomini e donne, conviventi, non conviventi, giovani o vecchi che vogliano tenersi compagnia o anche solo dividere le spese, eccetera. Assistere un partner malato, lasciargli un’eredità o la pensione, persino visitarlo in carcere od organizzargli i funerali: tutti diritti negati (in Italia) che non c’entrano niente col matrimonio gay o con l’adozione dei figli.

(Via A tempo indeterminato – Filippo Facci)

Eravamo quattro genitori al bar e bevendo il solito cappuccio di soia commentavamo su quanto ci stesse stretta l’idea di matrimonio come unica forma di coesione sociale.

Dei quattro due erano sposati da poco, due (ancora) no, tutti e quattro con figli plurimi abbiamo portato avanti una nostra idea di famiglia.

E ci raccontavamo di zie sposate per interesse, di padri denunciati due volte dal proprio figlio e di altri elementi a sostegno dell’idea che il matrimonio, da solo, non garantisce una beata fava.

Sono le persone a fare la società, non le etichette. Purtroppo, per avere il beneficio di una protezione legislativa, occorre appiccicarsi una sola etichetta.

Nel nostro caso l’etichetta è un vestito che ci va comodo e può far piacere indossare, non sono mica un oltranzista. E’ l’obbligo collettivo, la gentile pressione del legislatore sulla società a sposarsi che non mi trova d’accordo. A me costruire una famiglia è andata bene e mi è piaciuto (e mi sta piacendo un sacco, potrei anche sposarmi, ora che ci penso 🙂 ). Chi ha detto che è una strada che debba andare bene a tutti e soprattutto funzionare per tutti?

Raramente mi trovo d’accordo con Facci, ma il suo post di stamattina A tempo indeterminato ne ha fatto il quinto amico al bar.

Sui tetti con le parole di Sergio

Fargli un monumento » Sergio Maistrello: Ma io mi ostino a pensare che questa protesta, geniale e coinvolgente, degli studenti che si prendono i luoghi simbolo d’Italia non sia tanto contro questa riforma e contro questo governo. Quelli sono il pretesto, la notizia buona per i titoli del tg. La scintilla che innesca. Mi piace invece pensare che stiano protestando per lo sfascio, per l’arroganza, per il cinismo, per la miopia che gli ultimi venti o trent’anni di storia italiana, con governi di ogni colore, hanno riservato loro. Per lo stato in cui è ridotto l’intero sistema della formazione nazionale, per la precarietà degli edifici, per la prostrazione degli insegnanti, per la tristezza delle ultime riserve di potere, per il tedio dell’ennesima riforma che sai già destinata a impoverire ancora. Per lo spettacolo disonorevole di questi anni. Mi piace pensare che questi esuberanti giovanotti abbiano trovato il coraggio, la motivazione e l’intuizione per fare quello che noi ex-studenti sfuggiti per un soffio al collasso, noi genitori che portiamo a scuola la carta igenica per i nostri figli, noi adulti tramortiti al pensiero dell’eroismo quotidiano che ci sarebbe richiesto, non siamo stati capaci di fare: ritrovare dignità, alzare la voce, riprenderci – almeno simbolicamente – ciò che ci spetta. Per questo trovo quei monumenti occupati un’immagine potente come non se ne vedevano da anni. Per questo auguro a tutti noi che non si stanchino o non siano distratti troppo presto. E per questo, come altri in queste ore, penso che su quei monumenti dovremmo esserci anche noi.

Ho già condiviso le parole di Sergio stamattina ma rileggendole sul post di Massimo ho scelto anch’io di ribloggarle in toto.

Perché le parole sono importanti e nell’essere lette è la loro forza.

Perché la forma è sostanza e il periodare di Sergio in questo post è la perfezione.

Perché quando qualcuno estrae dalla tua testa il tuo stesso pensiero da giorni incapace di uscire gli devi come minimo un caffè, meglio un abbraccio, per ora un post.

First person life

Sei piccolo e figlio unico, gli altri ti osservano.

Sei giovane e figlio unico, gli altri ti dicono cosa devi fare. Tu, a volte, lo fai.

Sei ragazzino e figlio unico e le tue azioni sono vagliate dagli altri.

Sei uomo e figlio unico e sei preda del corso degli eventi (altrui).

Poi la vita preme F5 e dalla vista in prima persona passi a quella in terza persona.

E vedi.

Vedi il piccolo te che attira gli sguardi degli altri.

Vedi il giovane te fare ciò che deve e generare aspettative.

Vedi il te ragazzino produrre dei risultati.

Vedi il te uomo che determina il corso degli eventi.

Vedi te in interazione con chi ami e proteggi modificare gli eventi. In maniera non predicibile.

Vedi te carica effettiva e non più trascurabile carica di prova.

Vedi noi.

A strange game. The only losing move is not to play.

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