Splendidi vent’anni

Gran bel post di Dania, da gustarsi lentamente come il vino buono.

Passavamo ore al caffè in campo dei Frari, tra una lezione e l’altra, a emozionarci per quelle parole che sembravano fatte per noi, dette da noi, scritte proprio come se nella penna ci fossero stati i miei capelli neri neri e i suoi occhi grigi.

(Via malafemmena » Le parole tue.)

First person life

Sei piccolo e figlio unico, gli altri ti osservano.

Sei giovane e figlio unico, gli altri ti dicono cosa devi fare. Tu, a volte, lo fai.

Sei ragazzino e figlio unico e le tue azioni sono vagliate dagli altri.

Sei uomo e figlio unico e sei preda del corso degli eventi (altrui).

Poi la vita preme F5 e dalla vista in prima persona passi a quella in terza persona.

E vedi.

Vedi il piccolo te che attira gli sguardi degli altri.

Vedi il giovane te fare ciò che deve e generare aspettative.

Vedi il te ragazzino produrre dei risultati.

Vedi il te uomo che determina il corso degli eventi.

Vedi te in interazione con chi ami e proteggi modificare gli eventi. In maniera non predicibile.

Vedi te carica effettiva e non più trascurabile carica di prova.

Vedi noi.

A strange game. The only losing move is not to play.

Trenta e quaranta

La vita scorre via in fretta. Se non ti fermi a guardarti intorno finisce che te la perdi.

Ferris Bueller

Non ho mai creduto che esistessero soglie d’età tangibili. I grandi impazziscono quando passi 10 anni, i genitori si commuovono quando attraversi 20 anni. Gli amici festeggiano quando è la volta dei 30. I parenti ti danno il benvenuto negli anta quando passi i 40.

Ad ogni passaggio ti continui a interrogare su questi atteggiamenti. Forse dovrebbe succedere qualcosa. Forse dovrei fare qualcosa. Forse dovrei sentire qualcosa. Il problema è che quando gli altri ti festeggiano per te è sempre una sequenza in soggettiva.

Ci sono delle differenze biologiche, ma quelle le sai da quando sei piccolo. A 10 anni manca qualche pelo, qualche curva, la patente per andare dove vuoi e una serie di altri accessori. A 20 sei agile, forte in genere digerisci anche i sassi e non smetti mai di di mettere alla prova questa abilità. Più avanti constaterai che le skill della tua scheda calano leggermente ma non è questo il punto. Se ci pensi bene la vita ti aveva avvertito per tempo.

Ci sono differenze di contesto sociale, di studi, lavoro e maturazione. Sono le più difficili da cogliere perché coadiuvate da alleati invisibili come il confondersi con la massa, il se succede (o non succede) a tutti è normale che succeda (o non succeda) a me, la mancanza di un obiettivo da perseguire, il rischio di perseguire una proiezione esterna da te: ciò che dovresti essere vince su far evolvere con armonia ciò che sei dentro e stare un po’ a vedere.

Com’è, come non è, ti ritrovi almeno a smentire la profezia pinkfloydiana dell’aver bruciato un decennio in un colpo:

And then one day you find ten years have got behind you
No one told you when to run, you missed the starting gun

Infatti non è andata proprio così: sei entrato nei 20 gozzovigliando, sei rimasto appeso ai 29 come un free climber ad un appiglio solo, sei entrato nei 30 facendo il coglionazzo consapevole, abbozzata parodia della vita adulta. Ci sei stato bene, quei nove giri di campo del sistema solare te li sei assaporati, hai fatto cose, visto gente, fatto figli, fatto famiglia ma con una continuità infinitamente derivabile. Un bel prolungamento analitico della vita precedente.

Poi? Poi un giorno il sistema in base dieci ti cambia quel 3 in 4, la tua timeline è sempre C infinito, non ci sono sbalzi tuttavia qualcosa dentro di te fa clic. Sempre gradualmente ma molto più rapidamente di prima. Clic. I sensi sono più accesi anche quando dormi. Clic. Un bimbo ti chiama, ti stressa, si fa adorare, diventa la tua autoanalisi allo specchio. Clic. Digerisci peggio. Clic. Ma tutto sommato non è affatto male. Clic. Solo un po’ più faticoso. Clic. Hai consumato 4 slot di salvataggio della tua partita e cominci a tenerne conto. Ecco cosa. E forse vai da qualche parte smettendo di vagare.

Si diventa trentenni per assuefazione. Si diventa quarantenni di colpo.

I blog come proiezione del sé

Scrivere su un blog significa (pensare di) raccontare cose tue a persone che non conosci e che leggendoti penseranno di farlo, mentre tu rimarrai all’oscuro anche della loro esistenza. Ma davvero raccontiamo qualcosa di noi? La scrittura è un mediatore in/consapevole: io quando scrivo davvero non so chi è che parla, chi è che sceglie cosa dire, certo non so perché alcune cose le scrivo e altre no.

Questo bellissimo post di Mafe ha riacceso una serie di riflessioni che la mia mente sta impastando insistentemente in questo periodo.

Conscio di quanto tempo sono in grado di perdere su una passione sociale come il blogging, spesso mi sono chiesto “perché lo faccio?” Ma soprattutto “cosa c’è di così interessante nei blog?”.

Mettiamo da parte per un attimo la blogosfera del gossip, gli eventi, le foto degli eventi, le chiacchiere, le dietrologie, le news tecnologiche, l’iPhone. Cosa resta?

Resta una rete di persone che scrive e si legge più o meno regolarmente, che riflette su sé stessa e il mondo (siano le notizie mainstream dei siti dei maggiori quotidiani, siano notizie di nicchia, sia un episodio capitato dal lattaio sotto casa).

Cosa c’è di così interessante da tenermi incollato dal feed reader?

Ci sono le persone.

Ci sono i punti di vista, le loro idee, la loro peculiare maniera di raccontarle o di commentarle.

Più vado avanti a conoscere il fenomeno della blogosfera, più mi appassiona conoscere persone, quelle che mi piacciono, quelle che mi lasciano indifferente, quelle speciali, quelle che ti danno la scintilla di genialità nei loro post. Quelle che ti fanno capire le cose meglio di te.

Sono fortemente convinto che tenere un blog sia una forma di proiezione del sè.

Non è detto che sia una proiezione integrale: possono essere dei flash, proiezioni parziali, proiezioni deformate, frammenti. Sono comunque parti di noi che regaliamo al mondo nei nostri blog, perdendone immediatamente il controllo per affidarlo al Grande Impastatore della Rete, Google.

Proiettiamo noi stessi con il template che scegliamo, fra i mille della template gallery o tenendoci quello di default.

Proiettiamo noi stessi con la frequenza dei post, o la frequenza dei commenti nel nostro blog e in quello altrui (invadenti, timidi, controllori del proprio spazio, istrioni).

Proiettiamo noi stessi con lo stile dei nostri titoli.

Proiettiamo noi stessi con la tipografia dei nostri post, andando a capo spesso, non andandoci mai, blindati nel nostro rettangolo di caratteri, riempiendo il post di link a fonti esterne.

Proiettiamo noi stessi scegliendo dove postare, articolando il nostro modo di raccontare fra blog, foto, chat e servizi come twitter e friendfeed. Dimostrando ordine e meticolosità o caos creativo, aprendo nuove piste o facendo i gregari.

Proiettiamo noi stessi nelle scelte degli shared items, o dei reblog su tumblr o nelle altre forme di segnalazione di contenuti. Come un regista che non fa anche l’attore, non lo vediamo mai davanti alla macchina da presa ma ne cogliamo lo sguardo nelle scelte stilistiche: ritmo, sceneggiatura, dialoghi, montaggio, inquadrature.

Infine, proiettiamo noi stessi nella scrittura, elemento che potrebbe stare in cima a questa lista ma che ho voluto mettere in fondo per sottolineare il suo possibile ruolo di elemento di una tavolozza del sé: i contenuti della nostra scrittura possono non appartenerci, non rivelare nulla di noi in senso diretto ma al contempo dire molto della nostra personalità, della scelte che facciamo nella forma, nel fraseggio, nel risalto di un argomento rispetto ad un altro.

Ci sono blogger che cercano evidentemente di dissimularsi dietro la scrittura o di mostrare solo le parti di loro con più appeal.

Secondo me è una partita persa a tavolino. Occorre un editor per questo, qualcuno che ti guardi da fuori e scelga che merce mostrare di te.

Si possono mantenere privati gli avvenimenti della vita privata pur esponendo il sé nel proprio blog e con questo leggere i propri comportamenti mescolati a quelli degli altri. Ci si impara moltissimo e non ci si perde niente.

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