Perché l’informazione migliora quando

Perché l’informazione migliora quando chi la fa viene sottoposto ogni giorno a un check – pure feroce – su quello che scrive, che fa o che dice: ma concreto, fattuale, puntuale, onesto, autentico. Con una contrapposizione di argomenti, di visioni, di idee, di fatti. Con l’onestà intellettuale. Con la trasparenza. Possibilmente senza riferimenti ai difetti fisici dell’interlocutore. O alla sua appartenenza a una categoria – quale che essa sia. Facendo infine propria, se possibile, anche una ecologia del linguaggio che ormai mi pare irrimandabile e che ha come unica alternativa la barbarie e i forconi.

(Via Oppo, Grillo, noi giornalisti)

Passare oltre, andare alla sintesi fra tesi (il giornalista intoccabile) e antitesi (il giornalista casta) a colpi di factchecking, secondo Alessandro Gilioli che la dice molto meglio di me.

La screenshot ANSA di Beppe Grillo

beppe grillo rep ansa.png

La notizia è che Beppe Grillo caccia Favia e Salsi con un tweet e in un post sul suo blog rivendica il successo delle primarie e la presenza di democrazia interna.

Il post è aperto da un video del canale di Beppe Grillo che recita lo stesso messaggio presente nel testo. Il video di Grillo è quindi liberamente disponibile sia sul suo blog che su youtube. La licenza richiesta è la Creative Commons 2.0 Attribuzione – non commerciale – non opere derivate (A proposito esiste la CC 3.0).

Il pezzo di Repubblica.it è illustrato da una screenshot targata ANSA.

Premesso che una pagina non a pagamento può essere interpretata come non commerciale (se si escludono i banner). Perché il redattore non si è scattato una screenshot da sé?

Possibili risposte:

  1. Non lo sa fare
  2. Non voleva linkare il blog di Beppe Grillo
  3. Voleva lasciare le beghe di copyright all’ANSA
  4. Caricare una foto sul CMS di Repubblica.it è un incubo
  5. Altro?

Update: ne aveva già parlato Nicola D’Agostino in SCREEN SHOOTING IS HARD: LET’S GO SHOPPING (FOR COPYRIGHTED BLURRED IMAGES)!

Tre per sette ventuno

MILANO – – Il 93enne senatore a vita, Giulio Andreotti, è ricoverato in terapia intensiva al Policlinico Gemelli di Roma. Le sue condizioni «sono severe, ma stabili a seguito di una crisi cardiaca successiva a una infezione respiratoria» riferiscono i sanitari nel bollettino medico. Il sette volte presidente del Consiglio è arrivato alle 13.30 circa in codice rosso, disidratato e con frequenza cardiaca molto elevata. Ora è ricoverato in terapia intensiva presso il Dea. «Le condizioni sono severe, ma stabili. La prognosi è riservata» aggiungono i medici nella nota.

BRONCHITE – Una fonte medica ha aggiunto che il senatore è stato ricoverato per una bronchite di cui soffre da tempo. Secondo fonti sanitarie il sette volte presidente del Consiglio non sarebbe però stato intubato perché la situazione non sarebbe apparsa così grave ai medici da richiedere questo intervento.

IN AMBULANZA – Il sette volte presidente del Consiglio è stato prelevato dall’ambulanza dalla sua casa romana, in corso Vittorio Emanuele, intorno alle 13.26. L’ex presidente del Consiglio è stato visto con una mascherina dell’ossigeno da numerosi passanti.

(via Crisi cardiaca, Andreotti ricoverato – Corriere.it , enfasi mia.)

La notizia di oggi sul ricovero di Andreotti è per forza di cose scarsa di particolari: è stato ricoverato il senatore a vita Giulio Andreotti, 93 anni, per crisi respiratoria o cardiaca, «Le condizioni sono severe, ma stabili. La prognosi è riservata». Punto. Altro non si sa.

Nella concitazione di aggiungere paragrafi al pezzo la redazione online del Corriere.it ha continuato per tre volte a definire Giulio Andreotti il sette volte presidente del Consiglio, per un totale teorico di 21 mandati in tre paragrafi.

In questo banalissimo episodio giornalistico, del tutto marginale rispetto alla pagina di storia d’Italia rappresentata dalla vita di Andreotti, c’è tutta la deriva della lingua italiana: c’è il terrore per la ripetizione, il bisogno incontenibile di apposizioni e aggettivazioni, l’incapacità cronica di scrivere asciutto, l’illusione di dare più informazione condensando parole.

In un pezzo giornalistico di cronaca non scriviamo un brano di letteratura, nessuno cercherà né apprezzerà riccioli e modanature linguistiche, specie se brutti. Nessuno si annoierà se chiamiamo il protagonista dell’articolo con nome e cognome in più frasi ravvicinate. Nessuna prof delle medie sottolineerà in rosso “troppe ripetizioni”.

La sintesi non è giustapposizione di locuzioni, la sintesi è la scelta accurata di ciò che serve per dare l’informazione corretta. Sottrarre e non aggiungere. Less is more.

Il tempo di scrivere questo post e l’articolo è stato rivisto, la sottrazione è avvenuta e ora Andreotti è sette volte presidente del Consiglio e non più ventuno. Non starò qui a tirarmela sostenendo che al corriere hanno letto il mio twit su Andreotti ma la soddisfazione rimane. Bravi.

Il Manifesto e l’evoluzione dei giornali

Oggi ho letto il terzo di tre post che mi sono piaciuti sulla crisi finanziaria del Manifesto: Leonardo: Manifesto del conservatore di sinistra

Dopotutto il Manifesto su internet non ha affatto una cattiva presenza. Forse il problema è dei lettori che il Manifesto si è scelto, si è formato in tutti questi anni. Sono loro che dovrebbero condividere di più il Manifesto, e mostrare ai redattori magari un po’ scettici che la versione web può funzionare, può attirare più lettori, può rimettersi al centro del dibattito culturale (perché politicamente resterà sempre un po’ ai margini, ma una volta il Manifesto era “la” cultura di sinistra). Sono i lettori che devono cliccare su quegli accidenti di tasti colorati che ci sono già, sono lì apposta, e provare a portare un po’ più di Manifesto nelle praterie del web, dove tanta gente ne ha bisogno ma non ha la minima idea e finisce per farsi intruppare da Beppe Grillo e altre biowashballs. Sono i lettori che devono smettere di finanziare il Manifesto cartaceo più o meno come si dà l’elemosina a uno che te la chiede, con la prospettiva di chiedertela anche domani e dopodomani e ogni volta che la libertà d’informazione sarà minacciata.

Il post chilometrico e verboso di Leonardo (da leggere tutto, come al solito) riassume alla perfezione il rapporto con una testata inteligente, critica, pesante e verbosa che ha sempre abitato casa mia da che io ho memoria.

Il consiglio più diffuso è quello di trasferirsi sul web come inevitabile evoluzione darwiniana dei giornali, tesi sostenuta anche da Mantellini:

[…] i giorni scorsi la direttrice de Il Manifesto ha ripetuto la solita frase che si dice sempre in questi casi: “stanno uccidendo il pluralismo”. È una sciocchezza: se riusciamo ad astrarci un istante dal singolo caso in questione, l’informazione italiana non è mai stato tanto pluralista quanto lo è oggi. Per un singolo giornale di carta che non trova lettori (perché i poteri forti lo stritolano, perché la TV mangia tutta la pubblicità, perché Berlusconi non c’è più ecc.) ci sono dieci giornali di bit che raggiungono ogni giorno dieci o cento volte i lettori de Il Manifesto. Dieci o cento volte, numeri reali.

[…]

Quando la stampa difende i propri privilegi contro ogni logica rende probabilmente un cattivo servizio ai suoi lettori.

In realtà se è vero che i numeri reali portano la gente sul web quando il web è gratuito, più difficile è fondarci un’impresa basata su entrate certe. Il navigatore odia sia i banner lampeggianti (le home page dei principali quotidiani stanno diventando illeggibili) sia i paywall e i contenuti premium a pagamento.

Un’alleggerimento e un ripensamento della struttura editoriale sono inevitabili nel caso del trasferimento dalla carta al web. E allora che fare delle persone che lavorano ora nella carta?

Inoltre: la metrica del mercato non è detto che sia l’unica. Certo è l’unica che diamo per scontata, come per scontato si da il metro dell’audience per la televisione. Pierluca Santoro, si chiede se il Mercato sia Perfettibile in un post ricco di analisi e proposte:

La revisione sui criteri di finanziamento ai giornali a mio avviso deve tenere in conto, in ordine sparso: 1) no a finanziamento su tirature, se del caso su diffusioni 2) finanziamento crescente al diminuire dell’affollamento pubblicitario 3) bonus su finanziamento dei cittadini; per esempio se X numero di cittadini gira il suo 8 per mille a favore di un quotidiano c’e un bonus statale 4) no a finanziamento di organi di partito, consono già i finanziamenti ai partiti non c’è bisogno di una duplicazione 5)….[integrate pure nello spazio dei commenti se ve ne vengono in mente altri di criteri]

Insomma, se la perfezione del mercato è assolutamente perfettibile, non è un caso probabilmente se i primi ai quali si cerca di far pagare il prezzo siano proprio coloro che hanno dimostrato attenzione ed etica nel proprio approccio.

L’idea importante è che ci possa essere una gradualità nel passaggio da un’editoria sostenuta da finanziamenti pubblici a un’editoria autonoma. E’ probabile che le microtestate di partito o altri giornali di rappresentanza non ce la facciano ma chi è dotato della squadra migliore, di gente che sa scrivere ed interessare ce la potrebbe fare.

Ammesso e non concesso che il Mercato sia l’unica metrica da seguire, quello che mi stupisce è che tutti questi ragionamenti non siano mai accompagnati da simulazioni, grafici, previsioni nel merito. E’ inutile brandire il totem del Mercato se non metti alla prova (simulando, senza che nessuno si faccia male) i parametri che dovrebbero muovere il mercato stesso.

I dinosauri nei titoli sulla Leopolda

A questo punto cara Repubblica, caro Ezio Mauro, io da lettore ed elettore del PD credo di meritare qualcosa di più. Perché noi abbiamo in Italia un partito, direi il solo, in cui esiste oggi una dialettica, un confronto tra diverse “non-si-possono-chiamare-correnti”. Guarda caso è l’unico partito che ogni tanto cambia leader: gli altri senza il loro capo naturale sono quasi inimmaginabili (SEL senza Vendola? UDC senza Casini?), quasi tutti sono semplicemente comitati elettorali intorno a un personaggio televisivo di riferimento. Il PD invece è un partito. Possiede una dialettica interna, appassionata, a tratti violenta. Evviva. E voi scegliete di raccontarla, in prima pagina, come fosse un episodio della Pimpa. Bersani a Renzi: basta calci / lui replica: non sono un asino. È una notizia? Che Renzi non sia un asino, dico. Capirei Libero o il Giornale. Ma il lettore di Repubblica non si merita di più? Un sunto delle idee di Renzi, le divergenze col gruppo dirigente che contesta, qualcosa di sinistra, qualcosa anche di destra, qualcosa?

(via Leonardo: Ma i dinosauri, poi, chi è stato?)

Attacco fragoroso di un gran bel post di Leonardo sull’iniziativa di Matteo Renzi sul cui sito, peraltro, si trovano gran parte delle risposte agli interrogativi posti al titolista di Repubblica: nella lettera Idee concrete di persone normali (si veda il punto 2. Il Partito Democratico che vorrei) e la pagina A che serve la Leopolda.

Ci sono le cose interessanti, come l’uso dei social network (il valore di un’ora) e la demagogia nell’ostentazione dell’aggettivo “concreto” contrapposto in via sottinteso alle “chiacchiere” della politica.

Perché il dibattito della Leopolda non avviene sotto le insegne del PD e nelle sedi del PD? Visibilità:

La Leopolda deve servire anche a questo: usare la sovraesposizione mediatica della politica per dare visibilità ai protagonisti di un rinascimento possibile. Immettere nel dibattito nazionale i volti e soprattutto le idee di una nuova categoria di imprenditori, di studiosi, di uomini e di donne del volontariato e dell’associazionismo, di amministratori locali che hanno il potenziale per cambiare l’Italia.

(via Big Bang – Stazione Leopolda 2011)

Il post definitivo su Renzi lo ha fatto Elena:

Se il concetto è che ci sono sempre le stesse facce nel partito e nei luoghi di potere, lui sa molto bene, lo sanno bene tutti gli iscritti al PD, che esistono, in questo partito, tutti gli strumenti democratici per candidarsi ed essere scelti. Lo sa bene lui, che ha vinto le Primarie a poco più di 30 anni ed è diventato Sindaco di una delle città più importanti d’Italia, lo sanno bene gli altri che queste primarie magari le hanno perse, lo sanno anche quelli che alle primarie non si candidano perché temono di perderle.

Lo sa Renzi, che questa è una battaglia demagogica.

Il nostro non è un partito che ha lo stesso Presidente o Segretario da decenni, abbiamo fatto le primarie recentemente e c’erano gli spazi per candidarsi. E questo a tutti i livelli, fino al segretario di circolo. Non è un partito con un uomo solo al comando, c’è una grande ricchezza di opinioni e contributi (a volte anche troppi, tanto che a volte, per avere una posizione netta, bisognerebbe ripristinare il vecchio caro centralismo democratico). Un partito che cerca di rimanere in equilibrio tra chi chiede di parlare con una sola voce e avere una linea precisa e decisa, e chi chiede di ascoltare tutte le voci.

(via Brevi considerazioni sul perché penso che i rottamatori ci stiano raccontando una gran balla. | senza aggettivi)

Ciò detto, da inguaribile criticone, sono quasi più preoccupato della deriva asfittico-atrofica dei titoli di giornale che della dialettica interna alla sinistra. Se questa, almeno teoricamente, dovrebbe essere il motore delle idee della politica, i giornali dovrebbero rappresentare il veicolo o la strada su cui le idee si muovono. Se la loro comunicazione sarà sempre più rattrappita, semplificata, atomizzata, urlata non vedo come le idee possano mettere in moto quel gran numero di cervelli non ancora alfabetizzati alla ricerca delle fonti in rete strettamente dipendenti dal mainstream cartaceo.

Le idee sono fatte di parole e frasi, non di suoni gutturali. Parlare bene è importante, la lingua è importante: è una forma di pulizia mentale. Con titoli come questi è una specie in via di estinzione.

Il giornalismo urlato fa il web schizofrenico.

Repubblica.it - Osama ucciso

E’ da un po’ che osservo l’evolversi delle home page dei giornali cartacei online, in particolare di Repubblica.it. Sono passati oltre dieci anni dallo “sbarco sul web” del giornale cartaceo, qualcosina è migliorato ma l’affannosa voglia di riprodurre online lo strillo del giornale cartaceo e la velocità urlata del telegiornale non si è affievolita.

Negli ultimi tre giorni ci sono stati tre eventi-notizia mondiali come il matrimonio di William e Kate, la beatificazione di Papa Wojtyla e l’Uccisione (presunta, direi) di Osama Bin Laden. Nei mesi passati c’è stato l’attacco alla Libia e le altre rivoluzioni nei paesi del nord Africa.

In ogni occasione l’home page si allarga a tutto campo, e il titolone diventa uno strillo sopra un carosello di foto a effetto.

Ma la sintesi di uno strillo non basta più, l’ansia di voler dire tutto ma proprio tutto in home page inzeppa sommario e occhiello di link grandi, link medi, link minuscoli con e senza iconcine.

Non contenti di ciò il titolo-strillo viene spezzato in più frasi ognuna linkata verso un contenuto diverso.

E’ il collasso dell’usabilità, l’informazione del web trasformata in urlo, l’attenzione del lettore-navigatore strattonata ad ogni occhiata.

Mai come ora benedico l’informazione data dal passaggio del mouse: se non vado a vedere nella barra inferiore di Safari (menu Vista > Barra di Stato) a quale indirizzo porta il link su cui sto passando il mouse non oso cliccare: non è chiaro in quale sezione del giornale si finisce, non si sa se verrà mostrato un video, un articolo o una foto (e se non ho flash istallato? E se non ho abbastanza banda?), non si sa se una volta all’interno dell’articolo avrò a portata di mano gli altri link sulla stessa notizia presenti nel titolo strillato della home page.

Praticamente sembra di stare in un ingorgo di traffico dell’informazione.

Continuo a pensare che, problemi di usabilità a parte, sul web quel che conta è l’interesse, non l’attenzione. Voglio essere informato da qualcosa che richiami il mio interesse e vi immetta dati nuovi, non da qualcosa che ha urlato più forte e mi abbia fatto precipitare nella pagina dei video più cliccati invece che nella sezione Esteri.

Se un evento è in aggiornamento frenetico può capitare di ritornare alla home dopo aver letto un articolo e trovarla cambiata, con una diversa disposizione di link “urlati” e parcellizzati nel titolo principale. Devo di nuovo orientarmi, aprire tante pagine in tab diversi e farmi un ordine mentale.

Leggere, anche nel bel mezzo di una breaking news, dovrebbe essere un piacere, non una fatica.

La mazzetta dei giornali

Domenica mattina piovosa. Risparmio a mia madre il freddo dell’uscita rituale dal giornalaio. Sto ritirando la mazzetta dei giornali, accuratamente composta che neanche Prima Pagina, quando sento dietro la mia testa un’anziana cadenza bulgnais:

– Mi dà il Giornale?
– E’ finito, l’ho detto anche sua moglie!
– Allora mi dà Tuttosport?

D’improvviso mi balena in testa un post – questo post – sul pluralismo delle fonti d’informazione, sullo spaccato sociale degli anziani del quartiere, etc. etc. Purtroppo (per me, per noi, per tutti) la conversazione continua:

– Mo cosa ha preso, poi, mia moglie?
– Ha preso Libero.

Ah, ecco.

Cosa sappiamo della salute di Steve Jobs

Oggi sia la Repubblica che il Corriere sbattono la profezia di morte di Steve Jobs in prima pagina citando la “Stampa USA”.

L’autorevole fonte è il National Inquirer, che, cercato su Google si rivela con: Celebrity news, gossip, photos at NationalEnquirer.com (i contenuti non sono disponibili agli IP italiani).

Tutto quello su cui si fonda la notizia sono due foto di Jobs smagrito e una diagnosi a distanza di due medici americani. Tra gli articoli reperibili su Techmeme è istruttivo leggere il pezzo di Gizmodo che riporta anche parte delle foto:

The Enquirer followed him from breakfast to the Stanford Cancer Center. It says he has weeks to live, based on analysis of the photos by Dr. Gabe Mirkin and Dr. Samuel Jacobson. Neither are oncologists or have seen Steve in person. Mirkin, a radio talk show host, claims he has a “20-year track record of spotting breakthroughs and recommending effective treatments long before they become standard medical care” and makes his assessment of Steve based on the appearance of Steve’s butt in the photos. Yes, this doctor is making a butt-diagnosis, remotely.

Ovvero: un medico che ha 20 anni di esperienza in diagnosi precoci sta basando la sua diagnosi remota sull’osservazione delle chiappe di Jobs.

E poi, un pizzico di giornalismo: nessuno ha visto i dati medici reali di Jobs e gli esempi delle affermazioni sbagliate dell’Enquirer:

No one knows why he was there—no one has seen the medical records. The Enquirer is also wrong a lot—especially when it comes to proclaiming that celebrities have mere weeks to live. […]

And just a couple weeks ago, Steve was supposedly spotted on Apple campus looking spry with a “full, genuine smile.”

Il cancro al pancreas, anzi LE forme di cancro al pancreas sono tante e i decorsi difficili da prevedere. Qualcuno ha visto la sua cartella clinica? Repubblica? Corriere? Avete chiesto ad un medico italiano di confermare le sei settimane di vita di Jobs sulla base dello stato delle sue chiappe?

Se sì me lo fate sapere nei commenti, grazie.

Update: lo ha detto meglio di me Sasaki Fujika.

Tipi che non temono l’extreme programming

cr-48.jpg

Il pezzo di repubblica.it sul notebook con Chrome OS Cr-48 di Google non è male, tecnico il punto giusto, divulgativo il punto giusto, descrittivo il punto giusto.

Che ci fa allora una frase come questa?

Il Cr-48 è stato infatti concepito per vivere esclusivamente su internet e per dominare la grande nuvola di codici binari che sovrasta le nostre vite moderne.

E quest’altra, che segue un paragrafo ben scritto sulla dotazione software basata sulle Google Apps?

Il Cr-48 è un computer spartano, c’è poco da dire. Chiaramente un prototipo, un oggetto che è stato concepito per essere smaneggiato, è stato disegnato per essere usato dai developer d’assalto, gli sviluppatori di software. Tipi che non temono l’extreme programming, dove la codifica ha luogo tra una seduta di skateboard e l’altra e i diagrammi di flusso li si possono anche disegnare su una tavola di surfing mentre si torna dal mare.

Mi viene in mente Gianluca che disse (o forse scrisse su FF) “per me non c’è Mac OS o Win OS, ma c’è solo il web. Mica solo lui in questo quadro sarebbe un surfista developer d’assalto: molti utenti web nostrani, siano essi hacker professionisti o digiuni totali di tecnologia non si farebbero scrupolo di conversare su friendfeed, twitter, gmail, tumblr e tutti gli altri socialcosi da un netbook di Google. Lo fanno dall’iPad (si sono ormai fatti una ragione dell’assenza di porta USB) e da un MacBook Air vuoi che non lo facciano da un netbook?

O fai un pezzo di colore sul lifestyle tecnologico californiano o mi descrivi le tue impressioni sul nuovo notebook, cosa va e cosa non va delle sue caratteristiche tecniche.

I grandi scenari, quelli che fanno titolo sui giornali, non mi informano. Voglio sapere cosa può fare per me l’oggetto (infatti ho accolto l’invito di Google a provarlo), non se il contesto in cui vivo è sociologicamente adatto all’oggetto stesso.

Se mai Google mi farà provare il Cr-48 dovrò correre a noleggiarmi una tavola da surf, uno skateboard e fare il fenomeno in centro a Bulàgna.

Update: non sono il solo ad aver notato le metafore: Lega nerd, Anidride Carbonica e molti altri.

Wikileaks – E’ difficile stabilire con certezza

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti.

Il mondo è in ebollizione per le rivelazioni di wikileaks e non c’è tanto tempo per fare una scheda su dove si trovino i server, nemmeno quello per cambiare le frasi copiaincollate.

Comincio il giro da Repubblica.it che ci adorna le foto del bunker Pionen:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti. Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: è lì che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entità giuridica collegata a Wikileaks. Del resto, è proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è “Pionen White Mountains”.

(via Foto Svezia, nel bunker dei server di WikiLeaks – 1 di 13 – Repubblica.it)

Proseguiamo con l’Unità.it che ci fa una schedina senza foto:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti. Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: e’ li’ che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entita’ giuridica collegata a Wikileaks. Del resto, e’ proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondita’ a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, e’ “Pionen White Mountains”. Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito e’ sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verita’ al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet. Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet, del sito principale rimanda pero’ a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Wikileaks, il mistero sui server che fanno tremare il mondo – Mondo – l’Unità.it)

Stesso testo per Rainews24.it:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti.

Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: è lì che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entità giuridica collegata a Wikileaks.

Del resto, è proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda.

I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è “Pionen White Mountains”.

Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito è sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verita’ al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet.

Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet, del sito principale rimanda però a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Mistero sui server che fanno tremare il mondo – Rainews24.it)

Forse che sia un’Ansa?

ROMA- E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti. Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: e’ li’ che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entita’ giuridica collegata a Wikileaks. Del resto, e’ proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange.

I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondita’ a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, e’ “Pionen White Mountains”.

Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito e’ sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verita’ al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet. Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet, del sito principale rimanda pero’ a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Wikileaks: mistero su server che fanno tremare mondo – Mondo – ANSA.it)

No, forse è dell’Unione Sarda:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti. Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: è lì che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entità giuridica collegata a Wikileaks.

Del resto, è proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è “Pionen White Mountains”. Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito è sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verità al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet. Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet del sito principale, rimanda però a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Il mistero sui server che fanno tremare il mondo – Nel Mondo – L’Unione Sarda)

Interessante scoop anche per i Bambini di Satana:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti.

Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: è lì che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entità giuridica collegata a Wikileaks.

Del resto, è proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda.

I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è “Pionen White Mountains”.

Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito è sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verita’ al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet.

Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet, del sito principale rimanda però a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Mistero sui server che fanno tremare il mondo)

Smetto qui e vi lascio continuare il gioco con Google.

Non mi pare però un bel modo per iniziare il giorno che cambiò l’informazione, quello che secondo le intenzioni di questo bell’editoriale di Repubblica, lancia una nuova sfida sia ai cittadini internettiani che ai giornalisti:

[…] gli operatori professionali dell’informazione avranno il compito di “confezionare” al meglio i file rivelati, renderli il più “leggibili” possibile e, soprattutto, con un lavoro di grande qualità, scavare negli archivi e nella memoria per collegare e spiegare fatti e misfatti che quelle carte certamente collegano e spiegano purché qualcuno sappia metterci le mani con perizia.

(via Il giorno che cambiò l’informazione – Repubblica.it)

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