Il metodo scientifico evolve per iterazioni

Una malattia terribile, grave, di cui non si conoscono non le cure, ma le cause (c’è una componente genetica, ma insomma, la cosa mi pare complessa). Una rivista scientifica autorevole che sbaglia, e non ferma la diffusione di una tesi sbagliata, capace di conseguenze gravi come la mancata vaccinazione di molti bambini. La nascita di un fronte dissidente. L’impiego di tempo, denaro, conoscenza e attenzione collettiva per gestire un errore. Tutto questo fa del metodo scientifico, quello degli illuministi, il migliore al mondo. Sbaglia, corregge, rimette a posto. È un casino, chissà quanto ci vorrà ancora per venirne a capo, ma non c’è niente di meglio. Garantito.
(Via Freddy Nietzsche » Il metodo scientifico è perfetto perché sbaglia)

E’ un’idea che può essere raccolta nel famoso motto: “scienza, funziona“.

Il metodo scientifico definisce ambito di verifica, metodo e condizioni al contorno. Non fornisce per questo verità assolute ma verifiche di ciò che puoi e vuoi verificare.

Evolve mettendo in dubbio le proprie verità approssimate e le corregge per iterazioni successive raffinando i modelli.

Come corollario possiamo escludere l’esistenza di fenomeni paranormali tramite l’argomentazione economica: se esistessero (e fossero quindi verificabili col metodo scientifico) il capitalismo ne avrebbe già approfittato:

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Allunaggio in diretta Twitter

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Twitter sta diventando sempre più mainstream, come già rilevava gg, temendo per le sorti di Facebook.

Ora Nature News ha deciso di ripercorrere le tappe dell’Apollo11 a 40 anni di distanza e lo fa dall’account Twitter ApolloPlus40.

Una fantacronaca, retrospettiva, esercizio di giornalismo, divertimento 2.0, chiamiamola come ci pare che a noi nostalgici piace assai.

Aggiunto subito tra i miei contatti.

(Via D. Weinberger)

Dal vostro inviato in sala sismica

Alla fine ciò che era nato come una notizia flash da un amico che tiene d’occhio i terremoti è diventata un’intervista per Apogeonline.

Olivo ci racconta con maggiori dettagli il dietro le quinte del monitoraggio dei terremoti all’INGV in una chiacchierata via mail ritagliata durante le vacanze di Pasqua.

Grazie a Sergio per l’idea e la pazienza e grazie a Olivo per aver trovato il tempo tra un turno di notte e l’altro.

Reality check: l’avvocato di Beppino Englaro ed altro ancora

Devo ringraziare pubblicamente Sergio che, nel momento più buio dei giorni convulsi sul caso Englaro, ha indicato un faro, un binario per guidare lo sbando collettivo:

Reality check. Ecco, secondo me potrebbe essere una buona via d’uscita da questa pericolosa fase della vita democratica italiana, in cui chi parte per la tangente detta le regole del gioco e si porta dietro tutti, invece di essere energicamente richiamato all’ordine. Viviamo una realtà spesso costruita su certezze di terza o quarta mano, abbiamo bisogno di ingenti verifiche di corrispondenza con la realtà. Non saltuarie, ma costanti e distribuite. A cui ciascuno di noi è chiamato contribuire secondo le proprie competenze. Oggi abbiamo la voce pubblica per farlo, abbiamo il canale per mettere a disposizione quanto sappiamo.

(via Se tornassimo ai fatti » Sergio Maistrello)

.

In questa vicenda si è cavalcato una questione delicatissima a colpi di slogan, insulti e messaggi (capziosamente) semplificati. Ci sono aspetti giuridici e medico-neurologici che io non mi permetterei di discutere come non permetterei ad un medico di polemizzare su come e perché ho dimensionato un web server o un database.

Impieghiamo qualche minuto ad approfondire qualche reality check. Naturalmente non si tratta di verità dogmatiche o incontrovertibili (le prime non esistono, le seconde sono rare) ma di buoni punti di partenza. Segnalo:

  • Il post di Antonella con diversi link, da Giovanni Bachelet, Ingazio marino e Umberto Veronesi (aggiungo solo una nota: aboliamo l’espressione “buon senso”, si presta troppo per tutte le stagioni)
  • il corposo editoriale di Stefano Rodotà scritto 24 ore prima della morte di Eluana Englaro.
  • L’intervista a Giuseppe Campeis, l’avvocato di Beppino Englaro, da cui emerge un ritratto del tutto opposto alle accuse di Marxismo che ha ricevuto:

    Mister 100 mila euro ha lavorato gratis. Lo chiamano così, a Udine. Dicono che per sedersi di fronte a lui, quella sia la cifra minima. A Beppino Englaro non ha chiesto una lira. «Credo nel mio mestiere. Mi illudo ancora di vivere in un Paese ordinato, come lo era una volta l’Austria, dove le sentenze si rispettano, dove c’è la separazione tra i poteri. Come cattolico, non mi sento in contraddizione. Questa era una battaglia di diritto».

    […]

    È stata una vicenda estrema, come la determinazione di Beppino Englaro a compiere la volontà della figlia. Quell’uomo è un simbolo di speranza, perché ha dimostrato che in questo Paese c’è ancora spazio per persone che credono ai prìncipi e alle regole. Per questo rimango convinto che ne sia valsa la pena».

    (via «Volevano il golpe, così l’ho sventato» – Corriere della Sera grazie a Daria che me l’ha fatto trovare sul browser)

Gli uomini sono tra noi

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This tree is from an analysis of small subunit rRNA sequences sampled
from about 3,000 species from throughout the Tree of Life. The species were chosen based
on their availability, but we attempted to include most of the major groups, sampled
very roughly in proportion to the number of known species in each group (although many
groups remain over- or under-represented). The number of species
represented is approximately the square-root of the number of species thought to exist on Earth
(i.e., three thousand out of an estimated nine million species), or about 0.18% of the 1.7 million
species that have been formally described and named. (Tree of Life pdf, 368 KB)

(via David M. Hillis, Derrick Zwickl, and Robin Gutell, University of Texas),

Grazie a Massimo Morelli che legge il New York Times:

If biologists do ever succeed in drawing the tree of life, it will look profoundly different from Darwin’s sketch. Lineages do branch as they evolve, but sometimes the branches join back together. […] When biologists draw the relationships of some groups of plant species, their pictures look more like webs than trees.

In other cases, genes don’t have to wait for two species to come together — they simply leap from one branch of life to another.

[…]

“Each gene has its own evolution. It’s not inherited from mother to daughter; it’s inherited from a neighbor,” said Peer Bork of the European Molecular Biology Laboratory.

(via Scientists Crunch Data to Build an Evolutionary Tree of Life – NYTimes.com)

Vedi anche: Homo homini loop.

YouTelethon

Ricevo per la prima volta nella mia carriera di blogger di periferia un invito per una conferenza stampa.

youtelethon logo

Questa volta si inaugura la piattaforma web 2.0 di Telethon, chiamata YouTelethon, con tanto di diretta streaming basata su mogulus pro in contemporanea alla tradizionale diretta televisiva del 12,13 e 14 dicembre:

Su YouTelethon la partecipazione prende varie forme: oltre alla tradizionale
donazione, gli utenti sono infatti invitati sia a produrre contenuti video, file audio,
immagini, e post, con cui lanciare in rete il proprio messaggio di solidarietà; sia a
coinvolgere e sensibilizzare la propria rete di amici e conoscenti attraverso i più
frequentati social network.

[Dal comunicato stampa YouTelethon in pdf]

L’iniziativa è lodevole, interessante l’apertura esplicita verso il mondo web 2.0, un po’ curioso che nell’invito fossero contenuti due PDF, dei riferimenti telefonici e nessun indirizzo web. Me li sono procurati con un paio di colpi di Google.

La conferenza stampa è oggi alle 12 presso gli Studios di via Tiburtina a Roma, trasmessa in diretta web (presumo su YouTelethon). Io non potrò esserci ma sono contento di segnalarla.

Appena ho un attimo mi iscriverò al social network di Telethon.

P.S.: ha un che di surreale che un ufficio stampa mandi un invito serio ad un email come bolso at bolsi.org 🙂

Buchi neri

Fare il fisico è stata una bella esperienza, come quelle gite scolastiche con tanto di luna piena, falo’ e qualche speranza che la più bella della classe ti degni di uno sguardo.

Poi però il pullman ti porta a casa e nei sedili in fondo se la spupazza qualcun altro.

I buchi neri, dicevamo, roba che quando non eravate neanche nati, sul finire degli anni ’70 riempiva i paginoni della sezione scienza di Panorama, con tanto di figura del malcapitato attraversatore del Buco che finiva stiracchiato in chissà quale parte dell’Universo.

E così ti frullano in testa degli strani mischioni tra frasi fatte giornalistiche, ingredienti di fantascienza, due cucchiai di immaginazione e la frittata è fatta. Non ti ferma neanche Piero Angela che all’epoca, nella trasmissione Quark senza il Super davanti, si fermava pazientemente a spiegarti cosa erano ‘sti benedetti Quark (scoperti e ipotizzati relativamente da pochi anni), i loro amici Buchi Neri precisando che tutto quello che si sapeva di questi strani soggetti era una manciata di numeri e formule. Nessuno li aveva mai visti né si poteva sognare di vederli, nell’accezione comune del termine.

Com’è, come non è, a 19 anni finisci per iscriverti a fisica, ti fai un discreto mazzo tra esami di matematica, forma mentis tutta da forgiare e residui pensieri fantascientifici da purgare finché al terzo anno ti imbatti nell’Unico Complementare Teorico che puoi scegliere (nel 1990 funzionava ancora così). Relatività, mi pare ovvio (il genio di Einstein, lo spazio, la gravità, se eri femmina un prof. giovane dagli occhioni blu). Vuoi che un fisico non sappia nulla dello spazio tempo e dei buchi neri?

Superi pagine e pagine di formule sul quadernone, digerisci la notazione quadridimensionale con somma implicita sugli indici (sono ancora indeciso se pronunciarli mi e ni oppure mu e nu), fai fare alla tua immaginazione sforzi ben più contorti di quelli delle pagine divulgative dei giornali e approdi, dopo tre cambi di variabile in coordinate polari al tuo primo buco nero, una pagina e mezzo di quadernone dedicata alla Metrica di Kerr.

Da una serie di considerazioni che devi cercare di riportare su una sola dimensione spaziale e una temporale (dimenticando gli angoli che sarebbe troppo complicato capire), intuisci che la X e la T si invertono di ruolo oltre l’orizzonte degli eventi, oltrepassato il quale la X va solo avanti, ovvero gli oggetti cadono irreversibilmente nel buco nero e non tornano indietro. Alcune clausole che, se fossero un EULA di oggi, sarebbero scritte in piccolo in fondo alla schermata, dicono pero’ che ci vuole tempo infinito a raggiungere l’orizzonte degli eventi, che il modello vale per un buco nero sferico o puntiforme e che dall’altra parte forse c’è un buco bianco ma che tutti i punti della superficie che congiunge i due buchi (un wormhole) è di tipo space-like, ovvero: impossibile da raggiungere, sarebbe come andare indietro nel tempo. Non si attraversano i buchi neri, niente da fare, no viaggi intergalattici, niente stiracchiamenti, nada.

In altre parole: la realtà è molto più complicata, la metrica di un caso realistico la sanno solo i miei colleghi che ci si sono laureati e specializzati, chi ha tentato di metterci anche la meccanica quantistica non c’è ancora riuscito e chi ci ha provato mi ha mostrato formule ben più lunghe della mia: l’ultima che ricordo in teoria delle stringhe era lunga vari fogli A4 uniti con lo scotch. Solo la formula, mica la soluzione, eh?

Dietro la fisica teorica, come dietro quella sperimentale c’è un’estrema specializzazione, pagine e pagine di articoli, ore e ore (settimane e settimane) di tempo di calcolo su computer a molti processori, passione, sudore, colpi di culo e quant’altro possiate immaginare di più lontano dai titoli semplificatori dei giornali di oggi.

Dieci alla meno diciannove? Avete idea di che numero sia? Se fosse di una qualche importanza mi fionderei in tabaccheria a sparare 6 numeri a caso e diventare miliardario in tre tentativi.

Non faccio più il fisico da anni, al CERN ci sono andato in gita in pullman, il secondo anno, so un cazzo di cosa fanno in Svizzera, ma mi fido di loro. E’ come se, per oscure ragioni diventata mainstream, Internet fosse vista come una minaccia stile Matrix, foriera della fine del mondo, come se Novella duemila facesse i titoli sui pericoli dei pacchetti TCP/IP. Anche il meno tecnico di noi blogger starebbe ridendo ininterrottamente da settimane.

Forse è stato tutto veramente una gita scolastica.

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