La screenshot ANSA di Beppe Grillo

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La notizia è che Beppe Grillo caccia Favia e Salsi con un tweet e in un post sul suo blog rivendica il successo delle primarie e la presenza di democrazia interna.

Il post è aperto da un video del canale di Beppe Grillo che recita lo stesso messaggio presente nel testo. Il video di Grillo è quindi liberamente disponibile sia sul suo blog che su youtube. La licenza richiesta è la Creative Commons 2.0 Attribuzione – non commerciale – non opere derivate (A proposito esiste la CC 3.0).

Il pezzo di Repubblica.it è illustrato da una screenshot targata ANSA.

Premesso che una pagina non a pagamento può essere interpretata come non commerciale (se si escludono i banner). Perché il redattore non si è scattato una screenshot da sé?

Possibili risposte:

  1. Non lo sa fare
  2. Non voleva linkare il blog di Beppe Grillo
  3. Voleva lasciare le beghe di copyright all’ANSA
  4. Caricare una foto sul CMS di Repubblica.it è un incubo
  5. Altro?

Update: ne aveva già parlato Nicola D’Agostino in SCREEN SHOOTING IS HARD: LET’S GO SHOPPING (FOR COPYRIGHTED BLURRED IMAGES)!

Gli ingredienti non fanno il cuoco

Being an expert in social media is like being an expert at taking the bread out of the refrigerator. You might be the best bread-taker-outer in the world, but you know what? The goal is to make an amazing sandwich, and you can’t do that if all you’ve done in your life is taken the bread out of the fridge.

(Why I Will Never, Ever Hire A “Social Media Expert” via Paolo Valdemarin)

L’articolo è un po’ feroce e tagliato con l’accetta ma dice il vero: i social media sono solo una freccia in più all’arco del marketing. Saper usare i social media implica disporre già di abilità “generaliste” come saper scrivere ed essere comunicativi.

Saper trovare gli ingredienti non ti trasforma in un buon cuoco. Saperli scegliere è già qualcosa, saperli combinare è già un risultato, saper presentare il piatto che hai preparato è tutto.

Mutatis mutandis, è l’idea che sta alla base dell’utilizzo di software open source: chiunque si può scaricare e istallare un cms ma poi chi ti configura il servizio? Chi ti fa il portale?

– 35.000? Potremmo quasi comprarci un mezzo nostro!
– E chi lo guida, ragazzo… tu?

Se così non fosse basterebbe distribuire scatole di lego per trasformare tutti in architetti o diffondere capillarmente le macchine fotografiche per trasformare tutti in fotografi… o forse questo è già successo?

I dati pubblici sui mezzi pubblici a Torino

A proposito della condivisione dei dati cittadini di cui parlavo nella mia proposta per Bologna, ecco un’iniziativa di Torino segnalata su ilPost:

[…] Torino, dove è stata creata una società apposita (5T srl) per gestire in modo integrato i sistemi telematici per il traffico e i trasporti.

I gestori dei sistemi raccolgono i dati principalmente per migliorare i propri servizi: i gestori dei parcheggi possono segnalare la disponibilità di posti liberi su display posti lungo le strade di accesso e indirizzare opportunamente gli automobilisti, la localizzazione dei mezzi pubblici permette al centro di controllo di intervenire per correggere ritardi, deviazioni o anomalie nella frequenza dei passaggi e permette di indicare nei display alle fermate la previsione di arrivo dell’autobus, i sensori del traffico permettono di dare informazioni agli automobilisti con display, su internet o di regolare i semafori, e via dicendo.
In tutti i casi i dati grezzi sono elaborati dagli enti gestori, e vengono rese pubbliche informazioni utili, più o meno complete, più o meno integrate.

[…]

In occasione dell’evento biennale della democrazia la Città di Torino e le società GTT e 5T hanno diffuso le istruzioni per accedere ad alcuni database e si è tenuto l’Open data contest: un concorso in cui si invitavano cittadini, studenti, informatici o “smanettoni” a creare collegamenti e inventare nuove applicazioni.

(continua a leggere su La condivisione dei movimenti del tram | Il Post)

Milena Gabanelli e la maledizione della doppia B

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Mettiamo subito in chiaro che Milena Gabanelli ha ben altri guai a cui pensare, derivanti dal suo ottimo lavoro d’inchiesta e dalle reazioni che questo scaturisce.

Però su questo blog siamo un po’ fissati con ortografia, pronuncia e dizione giacché chi parla male pensa male e il rispetto della lingua italiana è una cosa importante che aiuta a mantenersi sani di mente. Colpito da twit con la doppia B ho deciso di fare qualche ricerca sistematica:

Gabbanelli su Twitter anima due schermate di hashtag sbagliati (#gabbanelli) o locuzioni come Report della Gabbanelli.

Gabbanelli su Friendfeed è più interessante perché aggregando fonti diverse rivela per diverse schermate errori di singoli utenti, commentatori, news giornalistiche, hashtag, agenzie di notizie che rilanciano blog.

Milena Gabbanelli su Liquida: promuove tra le persone riconosciute (“people”) il nome e cognome farlocco con tre schermate di risultati, complici le sgrammaticature dei blogger.

Analogo risultato per Milena Gabbanelli su BlogBabel che la indicizza aggregando nome e pseudo-cognome diventati tag dei suoi blog.

Nessun risultato su BlogNation (no permalink: scrivete a manina “Gabbanelli” nella casella di ricerca per verificare). Strano, che filtrino gli sgrammaticati? 🙂

Mi chiedo a questo punto se i risultati che spuntano dalle testate giornalistiche siano agganciati dai commenti degli utenti pieni di citazioni errate Gabbanelli. No, evidentemente le redazioni romane hanno la loro influenza nel raddoppio della labiale B:

Il sole 24 ore Argomenti incespica sulla Gabbanelli con Report a tutto gas. Si trovano anche due risultati dalle banche dati non visualizzabili se non si è abbonati al servizio.

Su Repubblica.it una ricerca dalla home page riporta una dichiarazione di Saccà del 2002 ma per altre vie spunta un’ultimora del 15 settembre 2009 e altri 16 articoli dall’archivio di cui 14 citano Milena Gabbanelli o Report della Gabbanelli.

Sul sito del Corriere solo due risultati: uno sul ponte di Capodichino a Napoli (ma è il Corriere del Mezzogiorno e la pronuncia raddoppiata della B singola è comprensibile) e un’altro su RAI per una notte di Santoro.

L’unita.it ha un solo risultato sul sito (Report in onda senza tutele – 2009) ma 13 risultati sul quotidiano in PDF, distribuiti fra il 2003 e il 2010.

La Stampa di Torino non avrà sicuramente problemi di pronuncia. Errato: una ricerca di Gabbanelli sull’archivio cartaceo (anche qui no permalink) produce 10 risultati dal 1992 ad oggi di cui 7 riferiti a Report o a Milena Gabbanelli.

Il Post può vantare il risultato di Nessun Articolo presente per Gabbanelli almeno nei suoi contenuti ma se scateniamo Google su IlPost abbiamo 7 risultati di cui 5 validi dovuti alla disattenzione dei commentatori (il che mi suggerisce l’idea di un plugin per WordPress per togliere la doppia B ogni volta che si cita Milena o Report).

A questo punto se apriamo le maglie della ricerca e lasciamo che Google setacci i siti dei quotidiani, indicizzando commenti e ogni altro elemento extra della pagina otteniamo 101 risultati per il Corriere.it, 43 per Repubblica.it, 60 per lastampa.it, 55 per l’unita.it e 15 risultati per il sole24ore.com. Si tenga presente che una volta aperta la pagina di alcuni risultati la parola Gabbanelli potrebbe non comparire per svariate ragioni: ad esempio la pagina è dinamica e c’era un titolo che scorreva al momento del passaggio del Googlebot.

Il fenomeno è interessante: dato un errore mentale molto comune e geolocalizzato, se questo errore si aggancia ad un nome piuttosto noto, in presenza di un picco di citazioni del nome noto si impennano anche le citazioni della sua versione errata. E’ uno di quei casi in cui la funzione di edit dei commenti come quella di friendfeed è un toccasana.

Coraggio, Milena a me raddoppiano la C da una vita e attenta che la Gabbanelli Accordions non ti faccia causa dal Texas per uso improprio del marchio! 🙂

ANPI: il nuovo sito

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E’ andato online il nuovo sito dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia). Lo dico con orgoglio e commozione non solo perché ho modestamente contribuito con la foto della bambina che depone i fiori ma anche perché lo spirito con qui è stato ricostruito il sito sa di rinnovamento e di sguardo in avanti. Un’aria positiva, non solo informaticamente parlando, di cui oggi c’è un gran bisogno.

Le idee fondanti del progetto sono state quelle di portarsi le competenze in casa facendo tutto con le proprie forze ma sfruttando la collaborazione sulla rete e avvalendosi di solo software open source (WordPress 3, che andrebbe citato linkato nell’articolo sul nuovo sito).

Questa impostazione apre canali di collaborazione e conoscenza con la nutrita schiera di noi blogger maniaci wordpressisti e non. Considerazione ovvia per chi è del giro, per niente scontata per un utente meno informatizzato.

Per il momento l’ANPI ha aperto un canale Facebook e uno su Twitter. L’aspettiamo a breve su FriendFeed, a questo punto!

Fossi nella Coop ci farei un pensierino

Chi fa la spesa alla coop?

Se lo chiede Nicola Mattina su Friendfeed lanciando quello che sarebbe potuto essere un cerino su un bidone di benzina e invece è diventata una discussione ricca di spunti e di argomentazioni interessanti, non tutte pro-coop.

Al momento in cui scrivo il sito della coop è momentaneamente non disponibile. Che lo stiano migrando ad una versione più social?

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Firehose reloaded

Steve Rubel riprende la metafora dell’idrante

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tre anni dopo Gaspar Torriero

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Interessante la differenza sul come usare l’idrante:

To mitigate this ongoing trend of streams, communicators will need to: 1) be as ubiquitous as possible, 2) adopt multiple messages, stories and formats and 3) make sure you allow your employees to get out there – in other words, use the force, don’t fight it.

(via Presentation: Communicating in the Age of Streams – The Steve Rubel Lifestream).

Mentre tre anni fa l’attenzione era su RSS e filtri (Google Reader, segnalazione della rete sociale) oggi è sulla molteplicità dei canali e sull’ubiquità.

Readability: web e giornali dalla pubblicità alla lettura

Sono giorni caldi per la storia d’Italia. Un tantino e via. La mia frequentazione dei quotidiani online è decisamente aumentata e di conseguenza è stata messa a dura prova la mia sopportazione per l’impaginazione da portalone anni ’90.

Dopo la geniale trovata di impadronirsi dell’intero sfondo del giornale la novità di oggi delle fervide menti dei creativi del web ha partorito un banner a espansione che si allarga fino a metà pagina per poi chiudersi da solo, una volta assicuratosi che di prima mattina ti sia venuta voglia di fare snowboard con un’auto nuova (o almeno così ho capito io prima del primo caffé):

repubblica_pubblicità

Oggi piuttosto che leggere avrei chiuso il browser se da qualche mese non avessi avuto una comoda bookmarklet

readability_bookmarklet

che mi trasforma la pagina di Repubblica in quella di un ebook:

repubblica_readability

Leggere dovrebbe essere un diritto, e proprio ad un articolo Pennachiano di A List Apart in difesa del lettore, arc90 ha risposto con un esperimento chiamato Readability.

Si tratta di un javascript che, istallato come bookmarklet, analizza la pagina che stiamo leggendo e la riformatta secondo le nostre indicazioni per trasformarla in una pagina elegante e comoda da leggere.

Readability è un gioiellino di programmazione web, funziona egregiamente su pagine che hanno un evidente contenuto principale di testo (è inutile su tutte le home page, per intenderci) ed elimina tutto il rumore di fondo costituito sia dalla pubblicità sia dalla cattiva impaginazione, ostinatamente reminiscente dell’impaginazione su carta.

Istallato per fare una prova dopo la segnalazione di John Gruber non riesco più a farne a meno: funziona egregiamente sui maggiori quotidiani (Repubblica, il Corriere, la Stampa, l’Unità, curiosamente non va sul Giornale), praticamente su tutti i blog di WordPress e Blogger.

Punto Informatico è tornato un piacere da leggere, quasi com’era nel 1996. Niente più banner lampeggianti a metà articolo.

Fin qui il dato tecnico. Dopo qualche mese di uso una riflessione sul concetto di lettura online mi è venuta a galla. Prima di tutto la comodità percettiva: forse è l’età, forse la maggiore disponibilità di grandi monitor ma io mi trovo molto meglio con i font ingranditi ed eleganti; l’occhio più riposato, il senso estetico appagato, riesco a concentrarmi meglio su quello che leggo. La mia soglia di distrazione si è pericolosamente abbassata e così come non sopporto i rumori intorno a me, basta un titolone sparato o un richiamo di spalla per spostarmi l’attenzione.

Il secondo punto è proprio l’attenzione: più il web sposa la personalizzazione del contenuto, l’andarsi a procurare ciò che si desidera nella forma che si desidera e più l’attenzione diventa una “merce” delicatissima. Purtroppo questa merce viene contesa a suon di urli dai messaggi pubblicitari. Il cervello riceve, tramite occhio e orecchio (su web come sulla tv), degli strattoni continui e sempre più forti. In televisione il cervello sta sul binario del palinsesto e della diretta, su carta sta su quello dell’impaginazione ma sul web passeggia per i fatti suoi.

Sul web quel che conta è l’interesse, non l’attenzione.

L’interesse è duraturo, l’attenzione è momentanea: se catturi quest’ultima col tuo banner elastico e lampeggiante, a breve termine la ottieni ma a lungo termine ottieni il mio fastidio, ovvero il mio interesse negativo. Su questo i pubblicitari del nuovo millennio dovrebbero ripensare le loro strategie.

Spazzare via l’impaginazione non è un attacco o denigrazione vero chi pubblica contenuti, anzi: è un atto di rispetto e interesse, appunto. Se ti leggo, ti voglio leggere con calma, a modo mio, ripago con il mio tempo e la mia concentrazione la fatica che ci hai messo a scrivere. Se il contenuto è buono questo meccanismo di feedback virtuoso si innescherà da sé. E questo vale per i miei blogger preferiti, per gli editorialisti preferiti e anche per i notizie che “tocca” leggere.

Make good products.

Facebook si pappa FriendFeed – considerazioni a caldo di agosto

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(via FriendFeed accepts Facebook friend request)

Se fosse avvenuto in Italia sarebbe stato un colpo di mano agostano, invece è stato un grande rutto digestivo della new economy 2.0 (Clarence vs. Lycos cit.).

E’ veramente triste apprendere in diretta dal tuo social network preferito la sua cessione al gigante che ritieni essere IL MALE in persona.

FriendFeed ha visto proprio l’estate scorsa di questi tempi un’esplosione di socialità della blogosfera italiana che, satura dell’esperienza twitteriana come metodo di conversazione e commento, ha trovato nei commenti in diretta e nel sistema di prioritizzazione dei thread di Friendfeed il suo alveo naturale. Twitter e Facebook erano diventate solo casse di risonanza degli echi nati dai post originari su FriendFeed. Se dovevi segnalare qualcosa di interessante lo facevi lì, se dovevi scatenare una sequenza di battute, condividere un momento importante lo facevi su FriendFeed.

Ed ora?

FriendFeed.com will continue to operate normally for the time being. We’re still figuring out our longer-term plans for the product with the Facebook team. As usual, we will communicate openly about our plans as they develop — keep an eye on the FriendFeed News group for updates.

(sempre via FriendFeed Blog)

Quel for the time being racchiude tutte le incertezze possibili: che fine faranno i termini di servizio di FriendFeed? Che ne sarà dei nostri dati? Verrano usati per le profilazioni di FaceBook? Con quale autorizzazione? E soprattutto: ora dove andremo se la nuova casa ristrutturata non ci piacerà?

Da stasera vedo le recenti funzionalità social di Google Reader in una luce diversa (e tornerò a coccolare Twitter).

Incollo qui sotto la rassegna live dei post sull’argomento, non prima di aver incollato il post preferito di stasera:

On friendfeed everyone is talking about the Facebook acquisition. On Facebook, people just continue taking stupid quizzes.

P.S.: nessuno mi tocchi tumblr, almeno.

P.P.S: i veri geek sono già tutti su posterous. Bandierina piantata da un anno ma mai usato. Si accettano suggerimenti prima di migrare in massa.

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