La politica della rete

Massimo Mantellini su Il Post getta molti semi di riflessione su come uno stato (e il suo Presidente) dovrebbe affrontare una politica per la rete

La politica delle reti non si fa nei convegni. Non si fa raccontando sui giornali i casi di eccellenza. Non si fa aggiungendo aggettivi agli articoli della Costituzione. Non si fa ripetendoci fra noi quanto il digitale sia sexy. Non si fa con le startup. Non si fa con le stampanti 3D. Non si fa su Twitter. La politica delle reti non è mobile first, al contrario andrebbe ancorata da qualche parte. Possibilmente dentro le nostre teste.

Il pezzo è da leggere per intero.

Aggiungo solo che se lasciamo la politica delle reti al marketing delle Telco, i cui spot ritraggono allegre combriccole di giovani che saltano e ballano sulle spiagge con i loro tablet guardando musica o calcio, avremo lo stesso effetto di promuovere la lettura tramite le pubblicità dei giornali: il grosso dell’utenza confluisce sulla Gazzetta dello Sport, letta al bar. Con l’unica differenza che sfogliare un giornale rosa non ti prosciuga il portafoglio come guardare filmati da una scheda a traffico limitato.

Pappanoinweb: gran finale dedicato a Meyerbeer

Si chiude stasera la serie di concerti di Pappanoinweb di cui vi avevo già parlato.

La serata è dedicata a Giacomo Meyerbeer e vedrà protagonisti oltre alla direzione di Antonio Pappano, la voce del soprano Diana Damrau.

Di ritorno dalla piscina dei bimbi mi sintonizzerò sullo streaming e su Twitter mediante l’hashtag #pappanoinweb.

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His name is still on the door

Tim Cook ricorda Steve Jobs e il suo credere nell’innovazione, il semplice contrapposto al complesso, lo stare focalizzati, la lotta per la perfezione; tutti valori che sono ancora presenti nell’Apple di oggi:

Potresti mettere tutti i prodotti che Apple produce oggi su questo tavolo, ogni singolo prodotto. E i ricavi quest’anno ammonteranno probabilmente a 180 miliardi. Probabilmente non c’è nessun’altra azienda sulla Terra che potrebbe dire lo stesso.

 

Pappanoinweb 2014 stasera 4 aprile live streaming Brahms

Il mio radicato amore per la musica classica nonché il mio passato di studente di conservatorio mi hanno fatto accettare con piacere l’invito di Telecom Italia a ospitare lo streaming dei concerti di Pappanoinweb 2014 anche qui su questo piccolo blog.

L’iniziativa va avanti da diversi anni, i video delle edizioni precedenti sono disponibili nella pagina eventi, ed è pronto l’hashtag per la discussione live su twitter #Pappanoinweb.

Il concerto di stasera venerdì 4 aprile inizierà alle 20:30, in programma:

Alexander Lonquich pianista

Solisti di Santa Cecilia: Alessandro Carbonare al clarinetto, Alessio Allegrini al corno, Carlo Maria Parazzoli al violino e Gabriele Geminiani al violoncello.

Johannes Brahms

  • Trio op. 40 per violino, corno e pianoforte;
  • Klavierstücke op. 118;
  • Trio op. 114 per clarinetto, violoncello e pianoforte

Incidentalmente mi fa molto piacere ascoltare dal vivo Alessio Allegrini perché la sua magnifica esecuzione dei concerti per corno di Mozart ha superato quella di Barry Tuckwell che finora era la mia preferita.

Per comodità di consultazione ho predisposto una pagina che rimarrà nel menu principale per tutta la durata dell’evento: Pappanoinweb 2014.

Buon ascolto.

Quella foto per Freak

Beatles by Norman Parkinson

30 anni fa a Bologna c’era un negozio di fotografia in via Volturno. Un gran bel piccolo negozio, figlio di un altro grande negozio che esiste tuttora, che aveva l’unica sfortuna di trovarsi sulla traiettoria casa-scuola di un giovine bolso di sedici anni preso tra due sue grandi passioni (manie, per meglio dire): i Beatles e la fotografia.

Erano gli anni 80, i più giovani faticheranno a capire che si trattava di due passioni ardue da perseguire: quella musicale doveva limitarsi a ellepi e cassette da comprare con la propria paghetta, qualche speciale televisivo e un paio di libri, la seconda era una scalata verticale economica, un vortice risucchia-risparmi alimentato da reflex, pellicole, sviluppo e stampa, ingrandimenti, manuali e la lettura religiosa dei 120 fascicoli settimanali dell’enciclopedia Obiettivo Foto.

Niente Google immagini, niente iPhone, niente iTunes, niente youtube, niente di niente.

Rimediare una foto in più dei propri idoli voleva dire cercare un poster da Ricordi in via Ugo Bassi o spulciare vecchie riviste. Stampare una foto voleva dire fare i negativi, i provini, ordinare l’ingrandimento e aspettare.

Un pomeriggio come tanti passo dal mio negozio di fotografia preferito e rimango ipnotizzato da un cartoncino pubblicitario della Ilford: sfondo nero, i quattro volti dei Beatles e nient’altro. Una foto stupenda, mai vista prima da me, era appoggiata dietro alcuni obiettivi da reflex di seconda mano.

Cerco tutto il coraggio necessario a superare la mia timidezza adolescenziale e chiedo tremante se posso avere in prestito la foto per… rifotografarla. In un colpo solo posso far convergere due manie: riprodurre una foto dei Beatles e mettere in pratica le tecniche di ripresa in luce artificiale studiate in uno dei 120 fascicoli settimanali.

Manuela acconsente, si arrampica su uno sgabello, apre la vetrina e si mette a spostare obiettivi e accesori. Il compito non è agevole. Il cliente ha sempre ragione, specie quello che passa di lì – impietosamente – tutti i pomeriggi, ma alla fine sbuffa:

Giacanelli, lo faccio solo perché sei tu.

Arrosisco, la ringrazio e chiedo una Ilford FP4 per la riproduzione.

A casa allestisco il mio mini studio fotografico, scansando libri e giochi dal tappeto e appoggio la preziosa reliquia contro l’armadio bianco, lo sfondo più neutro che potessi rimediare. Una lampada da tavolo e un’abat-jour piazzate ai lati mi fanno da illuminazione professionale. Prendo un cavalletto da tavolo e ci piazzo la mia Yashica FX-D Quartz.

Credo di aver fatto almeno una ventina di scatti, forse ho adoperato tutti e 36 i fotogrammi per una foto immobile, variando l’esposizione in più o in meno come da manuale. Uno scatto finale da lontano come ricordo del set-up. Il giorno dopo porto il rullino a sviluppare al negozio. Riporto il prezioso reperto che torna al suo posto.

– I provini sanno pronti venerdì.

– Grazie ancora di avermelo prestato.

Venerdi ripasso, mi guardo i provini di 20 foto identiche per investire la paghetta nell’unico ingrandimento 20×30 che potevo permettermi. Elisa mi dice:

– Senti, ti dispiace se ne faccio fare una in più? Me l’ha chiesta un altro cliente.

Avrei fatto qualsiasi cosa per sdebitarmi.

– Figuratevi… Certo, fate pure!

Passano i giorni di rito in attesa dell’ingrandimento. Quando vado a ritirarlo nel piccolo negozio ci sono quattro persone che nascondono il bancone. Elisa mi vede, mi indica e uno di loro si volta:

– Ciao, grazie per questa foto, sai: siamo ammiratori sfegataaaati dei Beatles!

Ciao Freak, 30 anni dopo quella foto è ancora per te.

Incantatori

Chi ha esaminato a mente fredda quelle promesse ha capito che non sono affatto a portata di mano, ma una buona parte degli italiani ha sempre creduto che i miracoli si fanno, la bacchetta magica esiste e anche l’asino che vola c’è da qualche parte. Se così non fosse, non ci sarebbe un venti per cento di elettori che vota ancora per Silvio. Silvio c’è e se non ha fatto miracoli è perché finora gliel’hanno impedito i suoi nemici toghe rosse e comunisti.

Meno male che Silvio c’è e dunque anche meno male che c’è Renzi. Si somigliano? Sì, si somigliano e anche molto.

***

La vera — e formidabile — bravura di Silvio è sempre stata quella d’incantare la gente, ma è la stessa bravura di Matteo che sa incantare la gente come Silvio e anche di più ora che Silvio è vecchio e fisicamente un po’ provato.

Matteo è un Silvio giovane dal punto di vista dell’incantamento e quindi più efficace.

Eugenio Scalfari – I Campi Elisi di Silvio l’Ispanico

L’ultima notifica di Google Notifier

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Erano un paio di giorni che stavo pensando di disistallare Google Notifier perché ormai arrivano troppe mail e la notifica tempestiva non è più necessaria o si trovano valide alternative.

Sul computer di lavoro l’ho già spento. Stavo guardando l’icona del Mac di casa… e Google Notifier mi ha notificato l’arrivo della sua ultima mail.

So long, Google Notifier.

Studiare Assurbanipal nel 2013

Invece mia figlia studia Assurbanipal nel 2013; e usa un libro di carta. Punto. Non arriva da me con una raccolta su Pinterest di dieci immagini della Mesopotamia; non ha preparato con i suoi compagni lo storify multimediale della lezione. Non colloca Ninive su Google Maps, non stanno ricostruendo le mappe del 1230 avanti Cristo, cercando di collocare anche il resto del mondo: dove erano gli antenati dei suoi compagni cinesi, senegalesi, peruviani?
Io ascolto mia figlia declamare la lezione, che le frutterà l’ennesimo nove; la guardo sorridermi con la sconfinata bellezza dei suoi nove anni, felice di aver restituito Assurbanipal alla storia e di poter passare ad altro. Ai suoi giochi sul tablet, alla sua maschera da sci hi-tech, al cartone Pixar full HD.

Via Assurbanipal vive e combatte con noi

Lo splendido racconto di Kisbo, da leggere tutto specialmente nel finale, rimarrebbe solo un aneddoto sull’arretratezza della scuola italiana se non avessi anch’io un figlio coetaneo che studia le stesse cose.

Certo, la distanza fra lo studio sulla carta e quello sulla rete è abissale. La scuola sembra ancorata a ritmi e riti di un altro millennio. Tuttavia non me la sentirei, dovessi mai avere la bacchetta magica, di spostare la leva della scuola su avanti tutta verso il digitale: l’esperienza di lavorare sulla lentezza, la resistenza e lo stimolo immaginativo della carta non ha eguali. Fare un disegno, sbagliarlo e doverlo cancellare con la gomma è una fase propedeutica e necessaria allo sfogare la creatività su Paper.

È una mia fissa da vecchio brontolone: prima si impara a nuotare al naturale e poi si mettono le pinne. Se impari ad agire “potenziato” la volta che devi agire al naturale sei perso.

Ciò detto quell’abisso fra libro e multimedialità iperconnessa andrebbe quantomeno ridotto avvicinano i due estremi. Facciamo faticare i nostri figli su libri e quaderni ma poi diamogli uno straccio di filmato, di modello 3D, di galleria di immagini, di approfondimento su wikipedia.

Diamo loro la naturalezza di passare dalla carta al digitale. In entrambe le direzioni.

Perché l’informazione migliora quando

Perché l’informazione migliora quando chi la fa viene sottoposto ogni giorno a un check – pure feroce – su quello che scrive, che fa o che dice: ma concreto, fattuale, puntuale, onesto, autentico. Con una contrapposizione di argomenti, di visioni, di idee, di fatti. Con l’onestà intellettuale. Con la trasparenza. Possibilmente senza riferimenti ai difetti fisici dell’interlocutore. O alla sua appartenenza a una categoria – quale che essa sia. Facendo infine propria, se possibile, anche una ecologia del linguaggio che ormai mi pare irrimandabile e che ha come unica alternativa la barbarie e i forconi.

(Via Oppo, Grillo, noi giornalisti)

Passare oltre, andare alla sintesi fra tesi (il giornalista intoccabile) e antitesi (il giornalista casta) a colpi di factchecking, secondo Alessandro Gilioli che la dice molto meglio di me.

Seminare la civiltà

Spiego: polis, cittadinanza, classe. Sono tre contenitori millenari (la polis: Atene), rivoluzionari (la cittadinanza: Francia 1789), socialisti (le classi, Karl Marx, fine ’800). Tutti e tre implicano un’assunzione di responsabilità, l’ultimo attiene anche alla difesa degli umili. Il piccolo branco che ha spaccato i denti al cittadino solidario, li ha violati tutti. Ha irriso i diritti di ogni bolognese — quei muri sono, appunto, di ognuno: sono nostri — ha deriso il coraggioso moto di ribellione dell’oste indignato (lui sì rivoluzionario, a non girare la faccia dall’altra parte) e ha preso a colpi di nocche sul viso il diritto di tutti a vivere in un luogo minimamente decente.

Luca Bottura – Nettuno d’oro all’oste rivoluzionario

Quando un pezzo ti insegna qualcosa in più del semplice essere d’accordo bisogna superare la viralità del rewteet e del condividi, che suonano come un passivo “eh già”, “anch’io”, “ma guarda tu dove siamo finiti” e si accompagnano ad un’alzata di spalle virtuale o reale.

Ogni tanto bisogna ricordarsi che un blog è una cosa dove le idee vengono seminate e, a volte, germinano e rinascono.

Questo paragrafo di Luca mi è parso un buon seme.

Però voi il pezzo lo leggete tutto, vero?

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